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Formigoni vede il proscioglimento ma prevale l'ala dura delle toghe

Scandalo sanità, magistrati milanesi divisi sul governatore sotto accusa per corruzione e finanziamento illecito. Però l'avviso di garanzia è in arrivo

Milano - L'avviso di garanzia a Roberto Formigoni è imminente: oggi, domani al massimo. Dopo più di un mese di indiscrezioni, di polemiche, di conferme a mezza voce e di no comment, la Procura decide di rompere gli indugi e di comunicare ufficialmente al presidente della Regione Lombardia che il suo nome è iscritto nel registro degli indagati per i reati di corruzione e finanziamento illecito. La decisione di partire all'attacco è maturata nelle ultime ore, in una Procura in cui sulla gestione dell'indagine ed in particolare sul trattamento da riservare al governatore non tutti la pensano allo stesso modo.
La decisione, che potrebbe venire resa nota già questa mattina dal procuratore Edmondo Bruti Liberati, segna indubbiamente una vittoria dell'ala più dura all'interno della magistratura inquirente milanese. L'avviso di garanzia ha come conseguenza immediata quella di smussare l'arma difensiva finora brandita da Formigoni, che alle ripetute notizie di stampa relative all'inchiesta a suo carico aveva sempre potuto ribattere di non avere ricevuto alcuna conferma, e di considerare pertanto una mera ipotesi quella di una inchiesta a suo carico. Ieri il difensore di Formigoni, Salvatore Stivala, ha incontrato sia uno dei pm titolari del fascicolo, Laura Pedio, sia il procuratore Bruti. «Stiamo valutando la situazione», gli ha detto in sostanza la Pedio, senza sbilanciarsi troppo. Ed è verosimile che in quel momento, a fine mattinata, la decisione non fosse ancora presa. Ma poi, nel pomeriggio, qualcosa si è sbloccato. Ed è prevalsa la linea di chi, al quarto piano del palazzaccio, ritiene che sia venuto il momento di andare allo scontro con l'inquilino di Palazzo Lombardia.
Non è facile indicare schematicamente «falchi» e «colombe». Ma di certo c'è che l'indagine che ruota intorno al governatore brilla per una anomalia: pur essendo l'indagine più delicata condotta in questo momento dalla Procura di Milano sul mondo della politica, non è gestita dal pool Pubblica amministrazione, coordinato dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo, ma dal dipartimento reati finanziari, guidato da Francesco Greco. Tecnicamente questa stranezza ha una spiegazione precisa: a indagare sui rapporti tra Roberto Formigoni e i due lobbisti ciellini Piero Daccò e Antonio Simone, la Procura è arrivata partendo da una indagine per bancarotta fraudolenta, quella sul San Raffaele, che ha gemmato l'inchiesta sulla fondazione Maugeri e da lì è arrivata a Formigoni. Ma ciò non toglie che Robledo - protagonista di un aspro scontro con Greco già sulla gestione dell'inchiesta Serravalle - non abbia mai digerito l'invasione di campo.
In questo quadro già difficile di rapporti interni, si è aggiunta la differenza di valutazione sulla consistenza degli elementi emersi finora a carico di Formigoni, e riassunti nel rapporto del 26 giugno della polizia giudiziaria pubblicato la settimana scorsa sul Fatto quotidiano. Il quadro di legami personali, di favori, di vacanze, di cene descritto minuziosamente nel rapporto è sicuramente significativo sul piano del costume politico. Ma è sufficiente a configurare una accusa di corruzione? È su questo punto che le opinioni in Procura non sono univoche. Il rapporto quantifica in circa nove milioni di euro le utilità che Formigoni avrebbe percepito da Daccò, ma non ipotizza passaggi di denaro diretti. Al totale si arriva calcolando il valore di viaggi, passaggi in barca eccetera, nonché - ed è la fetta più consistente - ipotizzando un megasconto nell'acquisto da parte di un amico di Formigoni di una villa in Sardegna. Ma è chiaro che si tratta di quantificazioni in parte opinabili, e che in un processo verrebbero pesantemente contestate dalle difese.
«Non possiamo incriminare Formigoni per poi farlo assolvere un'altra volta»: questo, in sostanza, era il pensiero di chi invitava alla cautela. Anche perché ancora in parte imprecisati sono i favori che i clienti di Daccò avrebbero ricevuto da Formigoni, ovvero gli atti pubblici che il governatore avrebbe addomesticati per compiacere il San Raffaele e la Maugeri in cambio dei regali del lobbista. E senza una indicazione precisa dell'oggetto della corruzione sostenere l'accusa in un processo sarebbe improbo.


Ma, alla fine, è prevalsa la linea di chi ritiene che gli elementi siano comunque sufficienti per l'impeachment di Formigoni, lasciando poi al seguito dell'indagine la raccolta di ulteriori elementi, sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio. Soprattutto se da Daccò e Simone, tutt'ora in carcere, venissero quelle spiegazioni che i pm ancora si aspettano.

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