«Galan? Se vuole si faccia un partito con Fini»

«Galan? Se vuole si faccia un partito con Fini»

MilanoPer usare un eufemismo, diciamo che l’intervista di Giancarlo Galan (nella foto) al Giornale (strappo a fondo pagina) non è passata inosservata. E ha animato il dibattito degli ex An (e non solo loro) riuniti al Teatro Nuovo di piazza San Babila per una festa identitaria come il sessantesimo compleanno del Secolo d’Italia. «Via gli ex An, divisi abbiamo più voti». E ancora: «La fusione nel Pdl non è riuscita. Separiamoci e restiamo uniti in una federazione, ci conviene» la proposta dell’ex ministro. E poi un richiamo allo spirito del 1994, come dire che i Forza... che si aggirano per l’Italia, qualcuno più, qualcuno meno, vanno meglio del Pdl.
Discorsi che agli ex An non piacciono. Come dice Viviana Beccalossi, vicecoordinatrice lombarda del Popolo della libertà: «I più entusiasti del Pdl siamo noi ex An. Qualche ex Forza Italia non capisce questa sfida...». E Massimo Corsaro, vicecapogruppo vicario del partito alla Camera: «Il Pdl è casa nostra almeno quanto è la casa degli altri». Insomma, gli ex An sono affezionati al partito nato in piazza San Babila. E tengono ben stretto il simbolo, anche se altri volessero abbandonarlo in corsa.
Ignazio La Russa, coordinatore nazionale del Pdl e uomo di punta dell’area di An al Nord, respinge la proposta di Galan come un tentativo di rifugiarsi nel passato. Poi, come di consueto, usa il sarcasmo: «Se qualcuno si è pentito, sappia che è in buona compagnia. Prima di lui si è pentito Fini, facciano un partito insieme». Gioco di parole sui Galan(tuomini) e sul passato: «Non siamo esperti di nostalgia, ma deve essere un carburante che aiuta a costruire il domani».
Ci va ancora meno leggero Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato: «Sono affermazioni sbagliate e stupide. E il 99 per cento del Pdl la pensa diversamente. Stiamo lavorando con Berlusconi e Alfano proprio per dare una stabilità, un radicamento a quello che è un grande progetto politico». Il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, esprime da Roma con una nota un concetto piuttosto simile: «Le perplessità sull’opportunità della costituzione del Pdl andavano caso mai espresse, aprendo una seria battaglia politica, al momento della sua costituzione. I partiti non si montano e si smontano come al gioco del meccano».
Maurizio Lupi dalla matinée milanese non mette limiti al futuro ma invita a non arroccarsi: «È una pia illusione tornare al passato. Chi ci vuole male usa interviste e iniziative in questo modo. Ma Forza Italia non è una scommessa in avanti e nemmeno An. I cittadini vogliono sapere come valorizzare le famiglie e le piccole imprese, ci mandano a casa se non proponiamo loro idee per risolvere i loro problemi. Con Berlusconi e Alfano vogliamo andare avanti». E Paolo Bonaiuti, ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Berlusconi, lancia appelli all’unità: «Non è né utile né produttivo né lungimirante cercare di dividere questo grande movimento dei moderati. Ogni tentazione di divisione è un suicidio».
Fatto sta che il movimentismo all’interno di Forza Italia è sotto gli occhi di tutti. Nella sola Lombardia ci sono tre casi: prima Lecco, poi Monza e l’irrisolta Como. Il coordinatore regionale del Pdl, Mario Mantovani, invita a minimizzare: «Forza Lecco, Forza qua, Forza là sono piccole iniziative locali per chi ha perso i congressi, che godono di grande amplificazione mediatica. Invece bisogna abituarsi alla democrazia». C’è un altro tema forte ad accomunare quest’area del Pdl, accanto all’avversione per quel che suona solo Forza. Ed è la mancanza di sintonìa con il governo Monti. Maurizio Gasparri va giù pesante: «Questi ministri abituati ai cda e alle università non hanno idea della vita della gente». Una critica al premier: «È appena tornato dalla Cina, dove non c’è nessun rispetto dei diritti dei lavoratori».

E ancora: «Meglio un tassista che lavora di notte che un banchiere» (il riferimento è a Profumo, aggiungerà più tardi, sceso dal palco). Sono i toni forse più accesi. Ma la diffidenza si legge forte, benché meno chiara, anche in bocca agli altri. Dice Paolo Bonaiuti: «Il governo dei professori e dei tecnici appare staccato dalla realtà».

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