«Inutile e inconcludente». Se c'è una cosa su cui certamente concordano i protagonisti del faccia a faccia di giovedì sera a Palazzo Grazioli è che sia finito in un nulla di fatto. Così almeno lo raccontano in privato sia Silvio Berlusconi che Angelino Alfano, il primo senza nascondere un certo fastidio nei confronti del vicepremier. Quel che il Cavaliere rinfaccia al suo delfino, infatti, è di «non voler capire» che il Pd e il Quirinale lavorano ormai da tempo per farlo «fuori» dalla scena politica «per via non democratica». Non è un caso che per l'ennesima volta Berlusconi abbia accolto nel suo studio Alfano scandendo l'ormai consueta domanda: «Quando il 27 novembre il Pd voterà la mia decadenza da senatore tu e gli altri ministri cosa farete? Resterete al governo con i miei carnefici? Rimarrete nella maggioranza con chi ha sovvertito i regolamenti parlamentari per imporre una cosa senza precedenti come il voto palese pur di farmi fuori?».
Una domanda che al momento resta senza risposta. Perché Alfano ha ribadito a Berlusconi tutta la sua solidarietà e il suo sostegno e ha assicurato che si prodigherà per convincere il Pd a recedere sul voto segreto, ma è ben consapevole il vicepremier che al di là dei suoi desiderata c'è un pezzo consistente della cosiddetta ala governativa che sul punto è intransigente: dai ministri Gaetano Quagliariello a Beatrice Lorenzin, passando per Fabrizio Cicchitto, Roberto Formigoni, Carlo Giovanardi e altri ancora.
Loro non hanno dubbi e continuano a ripetere - chi in pubblico e chi solo in privato - che il piano della decadenza del Cavaliere e quello della tenuta del governo sono distinti. Alfano tenta di mediare e vorrebbe tenere tutti insieme, come pure Berlusconi che però non riesce a immaginarsi mentre coabita con chi «preme il grilletto contro di me». Non che l'ex premier voglia staccare la spina al governo ma, è la riflessione delle ultime ore, almeno un appoggio esterno sarebbe un «atto dovuto» perché il voto del Pd sulla decadenza e la permanenza con loro in maggioranza sono «di fatto inconciliabili».
Sarà questo, insomma, il vero snodo della questione. Tanto che l'ex ministro Paolo Romani auspica «un'intesa su forma e struttura di partito» prima del Consiglio nazionale di sabato prossimo per poi «decidere in quella sede come si comporterà Forza Italia con il governo Letta quando il Pd voterà la decadenza». Una strada che al momento sembra però piuttosto impervia visto che nel Pdl in queste ore se le stanno danno così di santa ragione che - dice Paolo Bonaiuti - pare davvero difficile riuscire a dividerli. In effetti, dopo la rissa verbale di giovedì tra Michaela Biancofiore e Jole Santelli, ieri è stato il turno di altri tre scontri: prima quello tra Quagliariello e Daniele Capezzone, poi il sottosegretario Simona Vicari e Sandro Bondi che non se la sono mandata a dire e infine la botta di Mara Carfagna a Formigoni. Senza considerare le decine di accuse reciproche che si scambiano a suon di comunicati governativi da una parte e lealisti dall'altra.
Difficile, insomma, pensare che si possa trovare un punto d'incontro entro sabato. Nonostante i tentativi di mediazione, dunque, al momento la rottura sembra la soluzione più probabile. Di certo c'è che Berlusconi ha già iniziato a ragionare come se non facesse più parte della maggioranza.
«Niente colpi bassi al governo, ma sia chiaro che sulla legge di Stabilità non faremo sconti», spiegava ieri il Cavaliere durante una riunione a Palazzo Grazioli con i capigruppo Renato Brunetta e Renato Schifani, i presidenti delle commissioni Bilancio Daniele Capezzone e Antonio Azzolini, il relatore del provvedimento Antonio D'Alì, Denis Verdini e Gianni Letta. Sulla legge di Stabilità, insomma, «sarà battaglia». Con il Pdl che ha già pronti circa 600 emendamenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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