Giacca, pantaloni, gilet Hilfiger vince in tre mosse

Giacca, pantaloni, gilet Hilfiger vince in tre mosse

Per gli americani essere inglesi è come per tutto il mondo essere longilinei: un vantaggio immenso. La moda non sfugge a questa regola anche perché nessun altro Paese fornisce così tanti stimoli creativi e poi alle varie tradizioni vestimentali britanniche corrispondono innumerevoli contraddizioni che rendono tutto più affascinante.
Esemplare in questo senso la bella collezione di Tommy Hilfiger che ha sfilato l'altra sera nel salone del Park Avenue Armory trasformato nell'austera biblioteca di un college tipo Cambridge oppure Eton grazie a una serie di mastodontici pannelli fotografici piazzati ovunque.
Il simpatico stilista di Elmira ha fatto una fusione a caldo tra la tradizione sartoriale maschile di Savile Row e lo stile «preppie» (tipico cioè delle preparatory school americane) che proprio lui a suo tempo ha trasformato in un piccolo impero dei segni modaioli. Il risultato era sorprendente soprattutto nell'uso dei materiali: persino la pelliccia di cavallino oppure il montone con la stampa Principe di Galles avevano l'aspetto di un solido tessuto maschile. Tutti i tagli erano chiaramente ispirati dalle asciutte proporzioni del cosiddetto «Three piece suite», ovvero il completo giacca, pantaloni e gilet confezionato su misura per spiriti ribelli come Mick Jagger, David Bowie oppure Serge Gainsbourg.
Poi c'era la sensualità della minigonna resa sportiva e soprattutto portabile dalla creazione di uno speciale calzettone in pelle o camoscio elasticizzato che, dentro ai mocassini con frangia metallica e tacco squadrato, sembra il gambale degli stivali. Anche Belstaff, storico marchio dell'abbigliamento inglese da moto su cui è in corso un'operazione di rilancio internazionale, s'ispira alla tradizione britannica delle gare di motocross partendo dall'idea di un campione come Sammy Miller che negli anni Settanta vinse nove medaglie d'oro alla sei giorni internazionali di enduro, per costruire un credibile guardaroba femminile. «Non voglio una donna che guida la moto, ma una che si appoggia dolcemente alla schiena del suo fidanzato abbracciandolo stretto per non cadere mentre si godono la velocità sulle due ruote» spiega Martin Cooper, direttore creativo di Belstaff poco prima di far sfilare giacche e gonne in cotone cerato, uno stupendo montgomery in shearling color cognac, gli stivali da motocross a tacco alto: la versione motociclistica del lusso stile Hermès. La collezione di Diane Von Furstemberg dimostra invece che è vero il detto: «Puoi tirar fuori una ragazza dallo Studio 54, ma è dura tirar fuori lo Studio 54 da una ragazza».
La stilista è ancora lì, alla fine degli anni Settanta, quando lei era una delle donne più belle e sexy di New York ai party con Andy Warhol e David Bowie. Il suo inconfondibile wrap dress (cioè l'abito incrociato con cui ha fatto fortuna) in una nuova versione di sottilissimo camoscio resta una delle cose più desiderabili tra quelle viste finora sulle passerelle americane. Sfiziose oltre ogni dire le nuove sorprendenti pellicce di Custo Barcelona, irresistibile designer spagnolo che di nome fa Custodio e di cognome Dalmau. Stavolta la sua estetica bionica, da super eroina dei cartoon si mixa con qualcosa di etnico e allo stesso tempo favolistico: la bella e la bestia in chiave nordica, il senso grafico inteso come necessità. Davvero interessanti le forme dei capispalla (vere e proprie architetture alla Gaudì con cerchi, triangoli e rettangoli assemblati in prospettiva) per non parlare del mix di materiali: pelle, broccato, pelliccia ecologica, cristalli, pizzo e maglia effetto pelo. La solita storia ma una gran bella storia da Y-3, collezione che da 10 anni il grande Yohji Yamamoto disegna per Adidas.

Anche stavolta il divino designer giapponese gioca con le asimmetrie, la grafica delle tre strisce del marchio che delinea la forma degli abiti, il vestire a strati tipico dello sport attivo. In un mondo perfetto i giovani sportivi si vestirebbero esattamente così.

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