Milano - A veder certe cifre, ieri sembrava di essere ripiombati nel peggior periodo della crisi del debito sovrano. Quando il fuggi-fuggi dai mercati era un impulso collettivo, quando come tanti lemming gli investitori si suicidavano - finanziariamente parlando - vendendo le azioni come fossero carta straccia. E gli spread lievitavano come tanti pallonicni gonfi di veleno.
Colpita dalle vendite, Piazza Affari è crollata del 4,50% confermandosi la peggiore piazza continentale. Altrove, i ribassi sono stati più contenuti, seppur sempre di robuste proporzioni: Francoforte ha ceduto il 2,41%, Parigi il 3%, Londra ha limitato i danni con un -1,64%, mentre il mercato spagnolo è scivolato del 3,43%. Insomma, ribassi certo non fisiologici, segno di un grande nervosismo percepito nelle sale operative fin dalle prime ore di contrattazioni. Vendite così pesanti e diffuse hanno spesso una matrice speculativa. Certo è difficile immaginare che dietro all'ultimo black monday ci sia l'aumento della disoccupazione in Spagna (al 26% in gennaio). L'andamento dei mercati nell'ultimo periodo dimostra come i nodi dell'eurozona (crescita fiacca o inesistente, mercato del lavoro incapace di ripartire, prospettive di ripresa generalmente incerte) siano stati spesso trascurati.
Il crollo sembra dunque riconducibile a una sola causa: la politica, finita ancora una volta come sabbia negli ingranaggi delicati delle Borse. In Spagna, per esempio, tiene banco lo scandalo dei fondi neri che potrebbe travolgere il premier Mariano Rajoy e il suo governo. Un affaire che i mercati non possono trascurare. In Italia, invece, la rimonta del Pdl in campagna elettorale sta rimescolando le carte e facendo apparire meno scontato l'esito del voto. Al di là dello spauracchio agitato dal Wall Street Journal sui rischi per i conti tricolori derivanti dalla vittoria di Silvio Berlusconi, ciò che gli investitori temono è il riprodursi di uno stallo capace di creare una situazione di ingovernabilità.
Tutto ciò finisce per ripercuotersi sui differenziali di rendimento tra i nostri Btp e il Bund tedesco, risaliti a 285 punti base, una quota che non si vedeva dallo scorso 2 gennaio. L'aumento rispetto alla chiusura di venerdì è nell'ordine dei 20 centesimi. Tanti, e tali da rendere ulteriormente instabili i titoli bancari, il cui peso sull'indice Ftse-Mib è notevole. Le nostre banche hanno le casseforti piene di bond italiani, di cui hanno fatto incetta anche approfittando dei prestiti concessi dalla Bce a tassi estremamente accomodanti. Quando gli spread vanno in tensione, i titoli del credito soffrono. Sempre. A maggior ragione ora che lo scandalo derivati del Monte dei Paschi (-4,8%) sta scoperchiando giorno dopo giorno la mala gestio dell'istituto senese. Ma, ancor più di Mps, sono stati altri bancari a soffrire: Unicredit ha accusato un colpo da ko (-8,3%), seguita dal Banco Popolare (-6,9%) e da Bpm (-6,5%), mentre Mediobanca e Intesa SanPaolo hanno perso oltre il 5%.
Getta acqua sul fuoco Enrico Cucchiani, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo: «Non giudico mai l'andamento dei mercati sulla base dell'andamento di una giornata perché ci sono sempre tanto fattori tecnici, quanto fattori emozionali che magari il giorno successivo vengono riconsiderati e rivisti». Vero. Un film già visto. All'inizio dello scorso dicembre, scopertisi orfani di Mario Monti, i mercati avevano reagito vendendo a mani basse. Tempo due giorni, e tutte le perdite erano state riassorbite.
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