Politica

Il giovane-vecchio politico che ha nostalgia di De Mita

Alle soglie dei 43 anni Alfano ha preferito l'amico Letta a Berlusconi. Da giovane Dc adorava il re di Nusco, da Guardasigilli voleva riformare la giustizia: è stato un flop

Il ministro dell'interno Angelino Alfano
Il ministro dell'interno Angelino Alfano

Prima o poi doveva accadere: Angelino Alfano ha preso in mano il proprio destino ed è uscito dalla minore età. Lo fa alle soglie dei 43 anni (li compirà il 31 ottobre) dopo avere soggiornato un quindicennio nel grembo del Cav che lo ha vezzeggiato come un cucciolotto. Da ieri, la fase è chiusa. Angelino ha tenuto testa al suo Pigmalione e gli ha preferito Enrico Letta, al quale è legato da un rapporto molto più antico.
Ricordate quando Alfano, in luglio, stava per essere sfiduciato come ministro dell'Interno per l'affare kazako? La vicenda finì nel nulla per la rocciosa fermezza con cui Letta lo difese in aula. Il pathos messo dal premier nel fargli scudo e la fiducia che Angelino ebbe in lui, affondano le radici nella comune appartenenza giovanile alla Dc demitiana.
Alfano ha raccontato di essere politicamente nato con una cotta per il Cav. «Nel '94 - ha detto - mi sono unilateralmente innamorato di Silvio Berlusconi. Innamoramento da tubo catodico: ho aderito a lui vedendolo in tv». Non era un rinnegamento del passato democristiano ma un metterlo in ombra come si fa col vecchio amore quando si è travolti dal nuovo. Tuttavia, l'esperienza Dc è stata profonda ed è all'origine della sia amicizia con Letta.
Alfano ha respirato la Dc in casa propria ad Agrigento, di cui il padre, Angelo, è stato vicesindaco in quota scudocrociata. A sedici anni, l'età in cui gli altri leggono Salgari, Angelino si immerse invece in un libro appena uscito (1986) che solo dal titolo c'era da spararsi: «Intervista sulla Dc». Una chiacchierata di De Mita con Arrigo Levi, in cui Ciriaco parlava di sé e delle sue idee. Angelino si accese di entusiasmo per l'uomo di Nusco e decise di seguirne le orme. Ne parlò con fervore ai genitori che, anziché allarmarsi, promisero di assecondarlo. Fu così deciso che, terminato il liceo, avrebbe pure lui frequentato l'Università Cattolica di Milano come convittore, al pari del nuscante. Inoltre, in quello stesso anno, Angelino - per conoscere de visu il nuovo idolo - partecipò alla crociera dei giovani Dc, con De Mita a bordo, partenza da Genova e attracco il giorno dopo a Palermo. Lo sbarbatello, alto, dinoccolato e ricciuto com'era, si pavoneggiò da poppa a prua. Fu notato dal capo e dal suo pupillo dell'epoca, Renzo Lusetti, che dirà: «Era già un emergente. Un animatore». Giudizio sibillino, completato da quello di un altro ospite della nave, Paolo Naccarato, attuale senatore, che raccontò: «Alfano aveva un perenne sorriso a trentadue denti. Era già allora un berlusconiano».
Dopo l'iniziazione, Angelino divenne a tutti gli effetti un demitiano, cioè un dc di sinistra. Ad Agrigento, si mise sotto l'ala di Calogero Mannino, il fiduciario siciliano di Ciriaco, diventando braccio destro del manniniano locale. Fu presto promosso segretario provinciale dei Giovani Dc e, in questa veste, conobbe Enrico Letta che, di quattro anni più anziano, era già un pezzo grosso del movimento giovanile. Fu così che ebbe modo di frequentare l'Arel, l'ufficio studi di Beniamino Andreatta, in cui Letta era di casa e farsi vedere con lui da De Mita che, oggi, sostiene di averli considerati dei Dioscuri. Ossia dei gemelli legati dal medesimo destino. Racconta tuttora Ciriaco che quando, col crollo della Dc nel 1994, i due si separarono - Letta si rifugiò dai Popolari e Alfano s'involò con Berlusconi - ebbe a esclamare, come ispirato da un dio: «Vi ricongiungerete». Profezia puntualmente avverata con il governo di larghe intese.
Abituato a emergere - fu capoclasse dalle elementari al Liceo -, Angelino spiccò anche in Fi. Con queste insegne divenne a 26 anni (1996) il più giovane parlamentare di ogni tempo dell'Assemblea siciliana. All'epoca abitava ancora con i genitori e un giornale titolò: «Ciao, mamma. Vado a fare il deputato». Quando i commessi lo videro all'interno del Palazzo dei Normanni fu scambiato per un minorenne dimenticato dalla tata e dovette mostrare i documenti per accedere in aula. La conoscenza diretta con Berlusconi avvenne per iniziativa del plenipotenziario di Fi in Sicilia, Gianfranco Miccichè. Al Cav piacque il disinvolto giovanotto e gli fece il più bel complimento che si possa fare a un baluba: «Quando lei parla si capisce quello che dice. Non sembra siciliano». Preso da affetto, il Berlusca ha dato enorme impulso alla carriera di Angelino che è alla quarta legislatura e vanta - a 43 anni - un curriculum da settantenne di successo.
Grazie al famoso 61 a 0 (per la destra contro la sinistra) ottenuto da Miccichè in Sicilia, entrò per la prima volta a Montecitorio nel 2001. Quattro anni dopo sostituiva Miccichè alla guida del partito nell'isola ottenendo, però, risultati meno brillanti. Non è il caso adesso di fare il bilancio degli incarichi che Angelino ha di volta in volta incamerato: Guardasigilli del IV governo Berlusconi (2008-2011), segretario del Pdl, vicepresidente del consiglio e ministro dell'Interno di Letta (dall'aprile 2013). Resterà negli annali per averli ricoperti e avere egregiamente resistito, negli insuccessi (la mancata riforma della Giustizia), alla tentazione di dimettersi.
Nominato alla segreteria nel giugno 2011, Angelino assunse l'atteggiamento di un dinastia babilonese. Pretese un intero piano (il quarto) di Via dell'Umiltà, portando con sé uno staff di ventidue persone, diciannove delle quali siciliane. I costi della struttura sono stati esorbitanti e il Cav, quando li seppe, andò sulle furie. Alfano aveva, addirittura, un capo cerimoniale, incarnato da una signora. Inoltre, un capo del legislativo, giovani avvocati per la corrispondenza, un segretario particolare, Giovannantonio Macchiarola. Particolarmente discussa era la sempre accigliata portavoce, Danila Subranni, di cui i suoi colleghi giornalisti si lamentavano constatando che le notizie più ghiotte su Angelino e dintorni finivano soprattutto nei taccuini di Francesco Giorgino del Tg1 e di Francesco Verderami, del Corsera, dal quale mesi fa apprendemmo che, per sfuggire all'arresto, il Cav sarebbe scappato in Sudafrica (previsione che il ritiro del passaporto ha frantumato). Alfano aveva poi sbarrato il quartier generale con una porta citofono, trasformandolo in un bunker. Chi voleva conferire, doveva annunciarsi e, se sgradito, era respinto. Con il trasloco nella nuova sede di Piazza in Lucina, il clima da caserma si è allentato.
Per terminare il periplo attorno ad Angelino, va ricordato che dalla fine dell'anno scorso pesava su di lui il sospetto di avere, con altri, provato a mettere fuori gioco il Cav per sostituirlo con Mario Monti, sulla falsariga dell'attuale sbandata per Letta. Il Berlusca però, respingendo le insinuazioni, gli aveva riconfermato l'affetto.

Ma il cuore inganna e l'ora dei conti è giunta.

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