Pronto il rimpasto, tutti i tecnici che rischiano il posto

Giovannini e la Carrozza vicini alla sostituzione, in bilico Cancellieri e Bray

Pronto il rimpasto, tutti i tecnici che rischiano il posto

Roma - Come un fisiologo perso nei libri di alchimia. Il premier Enrico Letta, novello dottor Caligari, sembra uscito dal film muto di Robert Wiene e conserva scrupolosamente il sonnambulo nella bara. Il freak in questione è il governo: ma più che di sonnambulismo si tratta di un coma profondo dal quale pare impossibile risvegliarsi. E già il fatto che la terapia-choc venga chiamata «rimpastino» la dice lunga. Le possibilità di Enrico Letta, infatti, sono limitate, ma la palla è tornata nel suo campo. Tentare di sorprende l'«avversario» Renzi in contropiede non è fantascienza. Il modo migliore per consentire la sopravvivenza del «sonnambulo» è renderlo sempre più politico e sempre meno tecnico: iniettargli un po' di vita. Letta, dunque, pensa di continuare a restare a Palazzo Chigi eliminando l'alone «professorale» dal suo gabinetto. I primi a farne le spese, secondo i rumor che circolano da tempo, dovrebbero essere il titolare del Lavoro, Enrico Giovannini, e quello dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza, il cui curriculum professorale prevale su quello più recente di deputata. I sostituti sarebbero già in campo: in primis Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica ma molto apprezzato da Letta e Renzi in quanto propugnatore di uno spinto riformismo in tema di mercato del lavoro. Insomma, tutt'un altra musica rispetto all'inerzia di Giovannini. A Carrozza, invece, non viene perdonato il pasticcio sugli scatti di anzianità dei professori. Non si tratterebbe di una punizione legata alla querelle con il ministro dell'Economia, bensì di un castigo per aver «spifferato» il pasticcio a Renzi prima di confessarlo a Palazzo Chigi. Carrozza potrebbe essere sostituita da Mario Mauro (Ncd), attuale ministro della Difesa. Il posto vacante andrebbe a un esponente Pd (magari promuovendo il sottosegretario Roberta Pinotti).

Rimpiazzata la dimissionaria Nunzia De Girolamo con l'esperto europarlamentare piddino Paolo De Castro, vero dominus del Pd sulle questioni delle Politiche agricole, il puzzle sarebbe quasi perfetto. Resterebbe solo una casella da sistemare: quella dello Sviluppo dove il bersaniano Flavio Zanonato non solo non ha prodotto risultati ma non è nemmeno allineato al nuovo corso lettian-renziano. Eliminato il ministero delle Riforme, che è senza portafoglio (e vale un sottosegretariato), si toglierebbe un'altro posto a Ncd e probabilmente non ci sarebbe bisogno di una nuova fiducia. L'equilibrio sarebbe ristabilito e, ottenuto grazie al Quirinale un pacchetto di dimissioni «spintanee», il sonnambulo potrebbe continuare a vivere. Resterebbero, però, due o tre grane di risolvere.

Un governo meno «tecnico» metterebbe in discussione anche i posti di Anna Maria Cancellieri alla Giustizia (sotto tiro dopo il caso Ligresti), di Massimo Bray ai Beni Culturali (cui dopo Pompei è stato risparmiato il «trattamento Bondi» perché di sinistra) e quello di Saccomanni all'Economia (ieri pure Cicchitto lo ha disconosciuto). Ma rinunciare al ministro del Tesoro prima dell'infornata di nomine a Eni, Enel, Finmeccanica e Terna non sarebbe certo elegante.

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