GIUSTIZIA E POLITICA

RomaRoma, Napoli, Milano. Sarebbero tre le procure che indagano su Finmeccanica, e presto i magistrati titolari dei vari fascicoli potrebbero incontrarsi per coordinare le diverse inchieste e scambiarsi informazioni e atti. Per il momento delle indagini fa le spese il titolo che in Borsa va ko dopo le indiscrezioni sui presunti fondi neri accantonati all’estero dal gruppo, nonostante la smentita della società, che in una nota spiega «di non essere coinvolta nella costituzione di fondi neri» e che «nessun provvedimento è stato notificato a società o dirigenti del gruppo». Affermazione confortata in parte dalla stessa procura capitolina che ieri ha smentito di aver delegato perquisizioni o acquisizioni d’atti «nei confronti del gruppo Finmeccanica o della società Selex», quella guidata da Marina Grossi, moglie dell’ad della capogruppo, Pierfrancesco Guarguaglini.
Finmeccanica è finita negli atti giudiziari, sia a Roma che a Napoli che a Milano, come effetto dello sviluppo di inchieste che puntavano, inizialmente, altrove. Da un lato, a Roma, c’era l’inchiesta su Fastweb e Telecom Italia Sparkle, con lo spaccato sul network d’interessi che girava intorno a Gennaro Mokbel, dall’altro - a Napoli - il fascicolo-madre è già sfociato nelle indagini sull’appaltopoli partenopea, quella tra l’imprenditore Romeo e l’ex giunta della Iervolino, e nel parallelo filone sul «sistema Mautone», che vede tra gli indagati anche il figlio di Antonio Di Pietro, Cristiano. I pm napoletani toccano Finmeccanica indagando sull’appalto da 33 milioni per il «Centro elaborazione dati nazionale» della Polizia. Appalto vinto a ottobre scorso da una cordata guidata dalla Elsag Datamat, gruppo Finmeccanica. Ma su questo fronte si indaga anche sui possibili rapporti tra Finmeccanica e società facenti capo all’imprenditore dalemiano Enrico Intini. Che avrebbe approcciato la società di Guarguaglini attraverso Guido Bertolaso (che ha smentito) per tramite dell’imprenditore pugliese Gianpaolo Tarantini.
Nella capitale invece si indagherebbe per corruzione ed evasione fiscale, mentre sotto il Vesuvio i pm ipotizzano l’associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta. A Milano nel mirino c’è invece la Digint, società su cui proprio il gruppo di Mokbel avrebbe deciso di investire, tramite la lussemburghese Financial Lincoln. Ma la Digint entra in scena solo nel 2007, quando acquista il know how tecnologico e i brevetti della Ikon, già nota in procura a Milano perché fondata da Fabio Ghioni, già collaboratore dell’ex numero uno della security Telecom, Tavaroli. Sull’operazione punta anche Roma. Da alcune intercettazioni tra Mokbel e i soci emergono interessi verso il business con Finmeccanica, entrata come socio di minoranza in Digint, acquistandone nel 2008 il 49 per cento attraverso una società controllata, la Hagal Capital, e la Rhuna Investment. Proprio Mokbel viene «ascoltato» mentre si lamenta di come vanno le cose: «Aho, so’ cinque mesi che avemo tirato fori li sordi e non avemo visto ’no straccio de contratto, nun c’avemo futuro (...) con tutti i contratti dentro questa società acquisirà un certo valore (...) noi vendiamo la nostra quota a Finmeccanica».

Sempre Mokbel offre altri spunti agli inquirenti romani, raccontando di incontri con Lorenzo Cola, consulente di Finmeccanica, definito uno dei «capoccioni» del gruppo da Mokbel, che al telefono accenna anche a un affare: «Aprire una loro agenzia per tutto il centro Asia per la vendita di prodotti di sicurezza e militari». Insomma, «una cosa che ci apre uno scenario che manco te lo voglio dire», sintetizza Mokbel. E su questo scenario lavorano i pm romani.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica