Il governatore stoppa le accuse e prepara il rimpasto: dopo le pressioni di Maroni lascia la Rizzi

Milano Più che di scope, i triumviri del nuovo corso della Lega sono armati di ghigliottina. E dopo quelle dell’ex tesoriere Francesco Belsito e della vice presidente del Senato Rosi Mauro ormai bollata come la «badante» di Umberto Bossi, ora a rotolare è la testa di Monica Rizzi. Quarantuno anni, militante da una vita oggi è (o meglio era) assessore regionale a Sport e Giovani in Lombardia. Contro di lei un paio di fascicoli aperti dalla procura di Brescia per un’inesistente laurea in Psicologia che le sono costati l’accusa di usurpazione del titolo ed esercizio abusivo della professione e un presunto dossieraggio contro candidati leghisti (forse anche aiutata da una maga) per favorire nel 2010 l’elezione in consiglio regionale di Renzo Bossi. Il rampollo di casa affidato alle cure della «Monica della Val Camonica» che proprio nel bresciano gli garantì un pieno di 12mila preferenze. Piacere ricambiato dal Senatùr, allora nel pieno del suo vigore politico, con un posto da assessore a fianco di Roberto Formigoni.

Ma ora il nome della Rizzi è spuntato anche in una telefonata di febbraio fra la segretaria amministrativa della Lega Nadia Dagrada e Belsito che le spiegava di averle dato «cash» dei soldi per la campagna elettorale di Renzo. Denaro proveniente dai conti della Lega. Abbastanza per convincere i maroniani della necessità di epurare un’altra leghista accusata (nonostante le sue smentite) di appartenere al «cerchio magico» della Mauro e sodali. Ieri mattina l’arrivo al Pirellone, la sede della Regione, di Roberto Maroni e Roberto Calderoli che dopo l’invito a dimissioni «spontanee», aspettavano dalla Rizzi un cenno di ubbidienza. In caso contrario era già pronto il «protocollo» Mauro, con deleghe ritirate d’imperio e l’immediata espulsione. Così non è stato.

«Alla richiesta del mio partito di fare un passo indietro - ha risposto disciplinata la Rizzi - rispondo obbedisco, come ho fatto nel 2010 per candidare Renzo Bossi e in tutti questi ventiquattro anni di Lega Nord». Chiaro riferimento a come quella campagna elettorale non fosse certo stata una sua iniziativa. Caso chiuso rapidamente nell’ultimo partito leninista rimasto e promozione in giunta di Luciana Ruffinelli, l’unica leghista in consiglio regionale. Un’altra donna, perché oggi c’è l’udienza del Consiglio di Stato sul ricorso fatto da alcune associazioni per la scarsa presenza femminile in giunta. Scontata la sentenza e via a un rimpasto più corposo che coinvolge anche l’assessore del Pdl Stefano Maullu, pure lui ieri convinto alle dimissioni e probabilmente sostituito con la presidente della commissione Sanità Margherita Peroni.

Ma le sorprese non finiranno qui. Perché in bilico ci sono anche il ciellino Marcello Raimondi, Romano La Russa, fratello dell’ex ministro Ignazio, e il neo democristiano Domenico Zambetti. Ma anche in casa Lega la sete di epurazioni non è placata. Fatta fuori la Rizzi e in agenda per oggi il consiglio regionale che prenderà atto delle dimissioni di Renzo Bossi da consigliere, ora potrebbe essere la volta di Davide Boni, il presidente dell’aula su cui pende un’indagine per corruzione legata a tangenti per concessione di aree edificabili a Cassano D’Adda. Dopo settimane di difesa a oltranza, la Lega lo scarica. «Non sarebbe strano - ha detto ieri il capogruppo Stefano Galli - se a breve dai triumviri ci fosse la richiesta di un passo indietro».

Cosa che non ha nessuna intenzione di fare Formigoni, dopo il ciclone che ha ferito la sanità con l’inchiesta sui fondi neri della Fondazione Maugeri nella quale sono coinvolti uomini considerati a lui vicini. E i verbali dell’interrogatorio di Giancarlo Grenci, il fiduciario svizzero di Pirangelo Daccò indagato per associazione a delinquere, pubblicati ieri dal Corriere della Sera con «i viaggi pagati da Daccò per Formigoni e per il fratello». Formigoni si difende: «Sta emergendo la vera sostanza della questione, un regolamento di conti tra privati». Non solo. «Non è implicato nessuno della Regione Lombardia, sono implicate due aziende private e due privati cittadini che ci tirano in ballo in maniera del tutto ingiustificata: da quel che leggo, tendono a usarmi come paravento e tutelerò la mia onorabilità».

Di qui l’invito a chi lo accusa a «raccontare le cose come stanno, senza farsi scudo col nome di Formigoni». Perché nella vicenda «non è stato sottratto un euro di denaro pubblico e quindi non si può parlare di scandalo della sanità lombarda».

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