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Un governo immobile non può chiedere stabilitàl'intervento »

di S e c'è qualcosa di fastidioso sui giornali è l'incredulità, condita di ironia, con cui l'informazione ha accolto l'ipotesi delle dimissioni dei parlamentari di Forza Italia. Un'iniziativa di protesta, di grande impatto istituzionale e politico, nei confronti di un sistema politico-giudiziario che ha trasformato ormai da tempo il nostro paese in un regime, è stata trattata con la riserva, e il sarcasmo, di chi pensa al solito bluff, alla solita commedia. E, in fondo, anche questo atteggiamento dell'informazione è il segno del regime che è nell'aria.
Ma proprio perché il pericolo è grande ed estremamente insidioso, proprio perché è il momento delle parole forti e delle grandi decisioni, c'è bisogno da parte di tutti, a cominciare da chi lancia il grido di allarme, di coerenza. Ci sono in gioco i principi della democrazia e questioni rilevanti che riguardano la sopravvivenza della nostra economia. Su entrambi gli argomenti l'attuale quadro politico fa acqua: il governo delle larghe intese o è omissivo, cioè fa finta di non vedere i problemi; o è incline alla vecchia politica democristiana del rinvio; o non è ambizioso, non ha la capacità cioè di dispiegare i numeri e le potenzialità che ha a disposizione nel nome dell'emergenza.
Risultato: un governo che doveva pacificare e rimettere in moto la nostra economia, ha fallito entrambi gli obiettivi. Il «caso Berlusconi» che si è trasformato, suo malgrado, nel simbolo dei limiti e delle contraddizioni di un sistema giudiziario inquinato dall'ideologia e dalle strumentalizzazioni politiche, è stato trattato con sufficienza dal governo e dalle istituzioni di garanzia: una questione politica è stata affrontata come se fosse, solo ed esclusivamente, una questione criminale. Rimuovendo tout court la storia di una persecuzione durata vent'anni, costellata da 57 processi, che già nelle sue dimensioni dimostra di essere il campo di battaglia di uno scontro politico tra chi ha nel Dna l'obiettivo della riforma di un sistema giudiziario iniquo e la parte più politicizzata della magistratura. Quella che, ironia dei nomi, si fa chiamare «democratica».
Anche sul fronte della crisi si è andati avanti per inerzia. Il governo che doveva rimettere in moto il ciclo economico, ha rinviato impegni e scadenze per mesi depotenziando provvedimenti importanti come l'abolizione dell'Imu prima casa o il blocco dell'Iva. Ha sprecato tempo prezioso e deluso la fiducia dell'opinione pubblica. Così, a conti fatti, abbiamo sforato il parametro del 3% (siamo già al 3,1%, ma c'è chi parla del 3,4%) senza aver rilanciato i consumi. Rischiamo una nuova manovra, ci prepariamo ad un ulteriore effetto recessivo, senza che il governo provi ad aprire un confronto con la Ue. Basta che un commissario europeo inarchi il sopracciglio e subito lì, a Palazzo Chigi, si prostrano e si acquietano, motivando il tutto con un tuffo nella retorica europeista più stantia. Intanto su questioni strategiche come Telecom il capo del governo se ne lava le mani, limitandosi a dire che è «un'azienda privata». Appunto un Pilato sulla giustizia come sull'economia, che, invece, di reagire al declino del Paese, lo accompagna.
Insomma, la situazione è al limite, se non lo ha superato. E l'attuale condizione di precarietà rende inutile tutto il dizionario del politicamente corretto: «stabilità» rischia di trasformarsi in una parola vuota; «responsabilità» è un concetto che si avvicina all'incoscienza; il «richiamo istituzionale» sembra un rituale intriso di ipocrisia. Non è più il tempo delle parole vuote, né delle minacce impotenti. È il momento della verità, dei segnali operosi che dimostrino un cambio di marcia, una consapevolezza nuova dei problemi. Chi parla ogni due per tre di «stabilità» e «responsabilità», risolva l'obbrobrio di una legge come la Severino che non può essere retroattiva se non si vuole far inorridire l'Europa. E eviti una manovra che non indulga ancora sulla leva fiscale invece che sui tagli di spesa. Se così non sarà, se chi ha responsabilità resterà sordo, chi lancia i gridi di allarme deve essere coerente e conseguente nei suoi propositi. Deve marcare una discontinuità in un Parlamento impotente. Questo è un atteggiamento responsabile, se non si vuole essere complici di chi sta portando l'Italia alla catastrofe. Altrimenti si rischia di lasciare il sogno e la speranza di un'alternativa solo all'anti-politica. Non dimentichiamo che il più formidabile volano del successo di Grillo e dei suoi fu il governo Monti.

Ricadere nello stesso errore sarebbe da stolti.

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