Il gran rifiuto di Saviano: "Ma quale lista civica Non mi voglio candidare"

Accoglienza da rockstar a Bologna per lo show dello scrittore che evoca una Spectre mondiale: "Il capitalismo si è mafiosizzato"

Il gran rifiuto di Saviano:  "Ma quale lista civica  Non mi voglio candidare"

Dal nostro inviato a Bologna

La crisi si presta poco a essere romanzata. Ma Roberto Saviano ha un’attrazione fatale per gli argomenti sociali da trasformare in fiction e viceversa. Già ieri mattina arrivando in città per la serata della «Repubblica delle idee» aveva twettato, romantico: «Oggi la luce a Bologna inonda ogni cosa». Accompagnato, dunque, da Pierfrancesco Favino, già molto presente nella prima puntata di Quello che (non) ho, ieri sera l’autore di Gomorra ha estasiato il pubblico di lettori, in prevalenza giovani, che ha gremito il teatro dell’Arena del Sole (chi è rimasto fuori è ripiegato davanti al grande schermo di Piazza Maggiore) e lo ha accolto con la standing ovation e con le urla che si tributano a una rockstar. Dirà qualcosa a proposito della lista civica sponsorizzata da Scalfari oppure no? «Per alcuni dovevo annunciare la mia candidatura, la mia lista», ha detto sciogliendo subito l’enigma. «Ovviamente, non c’è nulla di tutto ciò. Sono falsità. C’è invece un’altra idea, un’officina di pensiero che forse fa ancora più paura». A chi, non è dato sapere. Ma tant’è. «C’è la voglia di portare per le strade non solo di Bologna un’idea di civiltà, di convivenza...», ha proseguito Saviano. In prima fila ci sono Ezio Mauro, Concita De Gregorio, Piero Grasso, capo dell’Antimafia. Non pervenuto il fondatore.

Il romanzo di Saviano parte dal giovedì nero, 12 ottobre del 1929 a New York, «il giorno che interi dipartimenti universitari e professori di Economia continuano a studiare. Vendere, vendere, vendere è l’ordine... Da lì cambia tutto per tanti poveri. Che impoveriscono. Ma intanto, ancor di più, arricchiscono i ricchi».

L’ultima volta che aveva parlato della crisi, su La7, lo scrittore aveva elogiato gli imprenditori eroi che provavano a resistere ai morsi del fisco e ai ritardi dei pagamenti dei crediti statali. Niente di romantico, per la verità. Tutt’altro. Ieri sera, partendo dal ’29, ha tratteggiato uno scenario apocalittico di corruzione planetaria. Un’ossessione di giochi sporchi. Un mondo dominato da una Spectre criminale. Intrecci di malaffare, banche, riciclaggio, alta finanza connivente con le cosche, capitali che si spostano a gran velocità per non essere controllati. In origine la grande finanza non era per definizione criminale. Wall Street doveva fornire denaro per la realizzazione in tempi rapidi di progetti economici, imprese, produzione, lavoro. Oggi non è più così, sostiene Saviano, il riciclaggio del denaro delle organizzazione decide e condiziona tutto. Politica, affari, interi Stati. In Europa, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda che sono più deboli, sono più vulnerabili alle strategie delle organizzazioni. Che colonizzano i mercati locali attraverso il traffico di stupefacenti, fumo, pasticche, coca.

Cita a raffica il Maddoff dei Parioli, le ’ndrine, le multinazionali del petrolio, il narcotraffico, le organizzazioni bulgare, i criminali ungheresi che sono entrati nel calcio... «Non si può dire che la crisi è colpa delle mafie. Non è così semplice», dice Saviano. Però... «Però le mafie non hanno mai investito sui derivati e i titoli tossici. Come mai? Perché sapevano, sapevano prima». Il romanzo della crisi di Saviano è la storia inquietante di un gigantesco complotto.

«Della mafia che si è capitalistizzata?», si chiede lo scrittore. «No: è il capitalismo che si è mafiosizzato». Ecco qua, nel pomeriggio, in questo teatro, Monti ha tentato di dare un timido messaggio di speranza. Dopo aver ascoltato Saviano si esce col morale sotto i tacchi.

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