Magari non è uno «scontro istituzionale senza precedenti» come lo definisce iperbolico Renato Brunetta. Ma di certo vedere il presidente del Senato e quello del Consiglio che se le danno di santa ragione non è spettacolo di tutti i giorni. La causa scatenante del duro botta e risposta di ieri sono state i giudizi, invero assai pesanti, espressi da Matteo Renzi sull'operato del Servizio studi del Senato, quello che pochi giorni fa ha avanzato dubbi sulle coperture del decreto Irpef. «Le considerazioni dei tecnici del senato sono tecnicamente false», accusa il premier. E ancora: «Abbiamo chiesto al Senato, e ai tecnici del Senato, alcuni sforzi», per esempio «abbiamo detto che se mettiamo un tetto agli stipendi dei manager di 240mila euro dovrebbero farlo anche al Senato. Hanno risposto? A me no».
A Palazzo Madama, raccontano, ieri è scoppiato l'inferno dopo l'attacco mosso dal capo del governo. L'intera Camera alta si sente assediata dall'esecutivo, i senatori in via di estinzione resistono in trincea contro l'abolizione del bicameralismo, e l'alta burocrazia cerca di sfuggire alla falce che si sta per abbattere sui suoi stipendi (al Senato ci sono almeno 47 dirigenti che guadagnano più del capo dello Stato). Insieme, fanno fronte comune e possono creare grossi problemi al premier nella navigazione parlamentare dei suoi provvedimenti, come si è visto in queste settimane. A fare le spese dell'irritazione di Renzi sono stati ieri i funzionari addetti all'analisi dei bilanci, «incolpevoli» anche secondo esponenti del Pd vicini al premier, perché «in questo caso si sono limitati a fare il loro lavoro». Lo stesso viceministro renziano all'Economia, Enrico Morando, li aveva difesi l'altro giorno, definendo un «errore» la loro «delegittimazione». Il presidente Grasso è stato investito di proteste, reclami e pressioni indignate che chiedevano «una risposta forte» in difesa dell'onore ferito del Senato, e dopo qualche ora di riflessione e consultazioni ha vergato un comunicato di inconsueta asprezza: «Mi faccio assolutamente garante dell'autonomia e indipendenza degli uffici di Palazzo Madama. In particolare del servizio del Bilancio che da 25 anni, nei confronti di tutti i governi, fornisce analisi finanziarie approfondendo con attenzione i dati, analisi che possono suscitare dibattiti sul piano tecnico e reazioni sul piano politico, ma mai accuse di falsità né sospetti di interessi corporativi». Secondo Grasso, «l'unico faro dell'ufficio bilancio è il pieno rispetto dell'articolo 81 della Costituzione», quello che impone idonea copertura alle leggi. E conclude: «Ricordo che il Senato è una istituzione che merita rispetto e non un carrozzone come definito da qualcuno». Con l'occasione se la prede anche col ministro Alfano: «All'Olimpico ci sono stati errori».
Il premier però tiene duro: «Se gli 80 euro arrivano in busta paga, mi aspetto le scuse dai tecnici del Senato», dice la sera in tv a Virus. E rilancia: «ci saranno anche l'anno prossimo, vedrete». Quanto a Grasso, «lo capisco, deve difendere l'istituzione. Ma il Senato com'è oggi io lo voglio cancellare». E su Twitter esulta: Padoan mi ha mostrato i primi cedolini, le coperture ci sono. Intanto però l'opposizione si scatena: il leghista Calderoli e il forzista Gasparri, vicepresidenti del Senato, minacciano addirittura azioni giudiziarie contro Renzi a tutela del buon nome del Senato, perché «la misura è colma», assicura il primo.
«Lo denuncerò per accertare chi dice il falso», dice il secondo. Ma anche dal Pd arriva la bordata di Stefano Fassina: «Sono gravi i continui attacchi del presidente del Consiglio a una istituzione decisiva per l'autonomia del Parlamento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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