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Grillo, leader in ciabatte che affonda il suo partito

Ii comico è incapace di scegliere candidati di qualità e di gestire il successo. I sondaggi lo anticipano: il M5S è un fuoco di paglia

Grillo, leader in ciabatte che affonda il suo partito

Se diamo retta ai sondaggi, non infallibili ma indicativi, dobbiamo prendere atto che il Movimento 5 stelle ha cominciato a scendere e non è più il primo partito italiano. Assestamento naturale verso il basso? Non credo. Direi piuttosto effetto delusione dopo l'inattesa e sorprendente sbronza di voti del 25 febbraio. Gli elettori di Beppe Grillo (il procacciatore di suffragi è lui e soltanto lui, e il suo è un esercito di marmittoni) al responso delle urne esultarono. Ne avevano ben donde. Si aspettavano un futuro e anche un presente da protagonisti. Il Movimento - pensavano - detterà legge. Farà sentire il proprio peso nella formazione della maggioranza e del governo. Ne condizionerà il programma. Assisteremo a cambiamenti epocali.

Invece non è successo niente di tutto ciò, se si esclude l'esilarante negoziato di Pier Luigi Bersani. Il candidato premier piativa un appoggio ai pentastellati e questi sistematicamente rifiutavano di darglielo, creando così una situazione imbarazzante per il Pd e il suo leader. Il quale, dopo un paio di mesi spesi in tentativi patetici di corteggiamento, fallì la missione e fu costretto a dimettersi da segretario. Ecco, questa è stata l'impresa epica dei grillini: invece di far fuori Silvio Berlusconi e la sua elegante orchestra, hanno stecchito il numero uno dei progressisti.

Sorvoliamo sull'elezione del capo dello Stato, altro capolavoro d'insipienza politica da cui sono dipese la riconferma di Giorgio Napolitano al Quirinale e la nomina di Enrico Letta a presidente del Consiglio: sconfitte brucianti per Peppino Grillo da Genova. Il popolo «stellare» ci è rimasto male. Non ha capito le strategie né di Bersani né di Grillo, i quali nella scalata al potere (esecutivo) si sono annullati a vicenda obbligando il giovin (si fa per dire) Letta a intraprendere quella via delle «larghe intese» che fino a qualche settimana prima era considerata impraticabile da chiunque avesse in tasca la tessera del Pd, essendo stata indicata dal Cavaliere come la sola percorribile.

Ovvio che il M5S si sia alienato molte delle simpatie conquistate durante la scoppiettante campagna elettorale condotta dal proprio guru. Altri numerosi errori sono stati poi commessi dagli esordienti grillini. La composizione delle liste dei candidati al Parlamento si è rivelata alla prova dei fatti una catastrofe. I novelli senatori e deputati hanno mostrato un'imperizia sbalorditiva. Vero che nessuno nasce imparato, ma le reclute mandate allo sbaraglio alla Camera e al Senato dall'ex comico hanno dato l'impressione di essere più comiche di lui, non certo all'altezza del compito assegnato loro dai cittadini.

Basti pensare che la capogruppo a Montecitorio, Roberta Lombardi, ignorava la Costituzione nel punto in cui fissa a 50 anni l'età minima indispensabile per diventare presidente della Repubblica. Da notare che la gentile signora è laureata in giurisprudenza, dal che si evince che il valore dei diplomi è commisurato alla testa di chi li consegue. Con gente di questa levatura a rappresentare il M5S, selezionata attraverso Internet, immagino che Grillo si sia persuaso della debolezza della propria teoria, in base alla quale conviene affidare la guida dei ministeri alle brave massaie piuttosto che ai professionisti della politica.

Ci sta che la tecnica del cabaret venga utilmente applicata all'arte del comizio. Ne abbiamo apprezzato i risultati ottenuti dal santone ligure, l'unico capace di riempire le piazze e di ammaliarle. Ma per agire nel Palazzo, e piegarlo alla propria volontà, serve altro: anzitutto il senso della realtà. Un conto è affermare che l'euro è una condanna alla miseria, un altro è organizzare un referendum per abolirlo e scoprire che i protocolli internazionali non si possono sottoporre a plebiscito: lo vieta la Carta. Il populismo affascina e seduce le masse, soprattutto se la politica tradizionale è in crisi e suscita disprezzo, come accade nel nostro Paese. Ma nel momento in cui occorre tradurre in pratica le suggestioni del capopopolo di turno, si profilano due possibilità: o si viaggia rapidamente verso un regime tirannico, data l'esigenza di essere ubbidito avvertita dal dittatorello, oppure altrettanto rapidamente finisce l'incanto e il populismo viene riassorbito dalla democrazia rappresentativa, sempreché questa riprenda vigore e sia in grado di ispirare un minimo di fiducia.

La sensazione è che il M5S, scosso al proprio interno da polemiche di bassa lega per questioni di soldi (i parlamentari si ribellano alle regole monastiche del priore: campare a Roma costa e l'indennità di carica dimezzata non consente di sopravvivere), inizi a sgretolarsi e minacci di sfaldarsi. Sono trascorsi meno di tre mesi dal trionfo elettorale e già alcuni grillini meditano di costituire un gruppo autonomo. Il seme della ribellione al «padre» ha attecchito: presto darà frutti velenosi.

Occorre riconoscere che il deus ex machina del Movimento è Beppe Grillo; senza di lui il partito non sarebbe mai esistito. Ma siamo di fronte a un fuoco di paglia, non a un serio fenomeno politico, e le fiamme sono destinate a produrre soltanto un mucchietto di cenere. Una forza politica richiede una struttura allo scopo di consolidarsi. Per adesso non c'è che la Rete, ottima per fare propaganda, insufficiente per creare una classe dirigente. Nemmeno in Parlamento ci si può improvvisare: occorre imparare il mestiere. Inoltre non si era mai visto un generale comandare le truppe da casa sua, in riva al mar Ligure, anziché sul campo di battaglia. Quello di Grillo è il primo caso di leader in ciabatte.

Rino Formica, socialista di qualche spessore, diceva che la politica è sangue e merda.

Qui manca il sangue.

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