L'idea giusta è quella di Beppe Grillo: ritirare il simbolo del Movimento 5 stelle e abbandonare i grillini al loro destino di velleitari. Dichiarare fallimento prima che possa sopraggiungere la bancarotta. Non c'è alternativa, anche se il guru la sta cercando affannosamente. Non la troverà. Tutti i successi troppo rapidi sono «difettosi» e durano poco, perché sono figli del caso o, peggio, del caos. I pentastellati sono una mandria senza pastore e senza cani che mordano loro le gambe quando sbandano. Un movimento politico che non abbia un capo presente sul posto e pronto a intervenire, guidare, consigliare e punire non può andare oltre l'exploit fine a se stesso.
In queste poche parole il senso di un disastro: i grillini non sono una squadra, ma un gruppo di avventurieri senza bussola. Si stanno perdendo. Grillo non è un colpevole, ma un illuso. E i suoi adepti se ne stanno rendendo conto. Egli si era convinto che la democrazia rappresentativa fosse morta e sostituibile con quella digitale. Un errore. Una società complessa quale la nostra ha bisogno di mediazioni. Necessita di una sintesi e di equilibri non precari.
Internet non surroga i meccanismi tradizionali dei partiti organizzati a livello centrale e periferico, dotati di strutture più o meno idonee a selezionare nelle regioni, nei comuni e nelle province il personale politico da mandare a Roma. Non riesce a tenere le file degli iscritti e a disciplinarli per conseguire uno scopo. La Rete non è un tessuto connettivo, ma dispersivo. Basta navigare un po' per scoprire che la massa di coloro i quali smanettano sul computer è costituita da individui scollegati l'uno dall'altro, spesso in competizione tra loro, addirittura in polemica.
Pensare di ricavare da una bolgia di narcisisti una linea politica comune è da ingenui. Non è un'utopia, ma un'idiozia. Il Grande Fratello esiste solo nei romanzi. Certamente, fa paura supporre che prima o poi l'umanità sarà sempre più dipendente da tablet e roba simile. Per ora tuttavia, almeno in Italia, chi ricorre al Web è una minoranza. Ma quand'anche diventasse a breve una maggioranza, cambierebbe poco. Sarebbe sempre l'individualismo a dominare e, quindi, a dividere l'opinione pubblica.
Quello di Grillo è stato un sogno, non un piano intelligente, benché egli, pur nel suo delirio, abbia a un dato momento ottenuto risultati strabilianti che hanno seminato il terrore nel Palazzo. Il M5S è diventato il primo partito nazionale. Però non è un partito vero. È un'agenzia che offre lavoro a chi non ne sa fare nemmeno uno. Ovvio che abbia avuto molti clienti. Ma una volta chiamati a fare qualcosa che giustifichi la loro presenza in Parlamento, i miracolati da Grillo si sono rivelati ciò che sono: degli sprovveduti. Tant'è che su ogni questione si azzuffano, ciascuno alla ricerca disperata di sopravvivere.
Il loro motto è: durare per riscuotere. L'ipotesi che il gioco finisca presto e che essi siano costretti a tornare a casa dove li attende la disoccupazione, o un mestiere mal retribuito, li manda in tilt. Non ragionano più. Sono pronti a tradire, ad accettare ospitalità in altri gruppi parlamentari. Già, guai a mollare l'osso. Così si comprende il travaglio in atto nel Movimento. C'è chi è già fuggito dal tetto di Grillo. C'è chi ha progetta di farlo. C'è chi non sa dove rifugiarsi. Tutti comunque sono animati dal desiderio di restare inchiodati allo scranno. Fanno quasi tenerezza. Erano nemici giurati della casta, ora hanno l'obiettivo di entrarci, possibilmente per sempre.
Non ne ho la certezza, ma è forte l'impressione che Grillo abbia capito l'antifona, e mediti di mollare lo scettro. Prima si decide a portare i libri in tribunale e meglio è. Non ha futuro. Il suo è stato un gioco elettrizzante, ma come ogni gioco non deve durare a lungo, altrimenti si trasforma in tragedia. La politica non è pane per i denti del Santone. Meglio il cabaret. Coraggio Beppe, faccia un passo indietro, dica che ha scherzato. È stato abile a realizzare un disegno perfido, quello di ridicolizzare i partiti. Ma non insista. Le diamo atto di aver messo a soqquadro il Palazzo e di aver costretto gli inquilini a mutare registro. Di più: di aver scompaginato le loro agende, obbligandoli se non altro a fingere di darsi una mossa.
È giunta l'ora di chiudere bottega. La senatrice Adele Gambaro, borghesuccia di danarosa schiatta, accusa Grillo di aver sgarrato, di essere responsabile della sconfitta alle amministrative. Afferma che le urla del capo sono state esiziali. Lui si incavola e medita di buttarla fuori dalla porta. Ecco, basta questo episodio per misurare la febbre di cui soffre il Movimento.
Caro Grillo, scenda dalla ribalta e ribalti tutto. Sarebbe un bel finale.
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