Dal sollievo alla nuova fibrillazione, tutto in una manciata di minuti. Annamaria Cancellieri si è appena «salvata» dalla mozione di sfiducia del M5S e subito arriva l'ultima mazzata. È la dichiarazione del suo amico Salvatore Ligresti, fatta un anno fa ai pm di Milano e resa nota con un tempismo sospetto: «Mi feci latore con Silvio Berlusconi del desiderio dell'allora prefetto Cancellieri, che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede. L'attuale ministro è persona che conosco da moltissimi anni e ciò spiega che mi si sia rivolta. La segnalazione ebbe successo e restò a Parma».
Lo psicodramma avviene a Montecitorio, dove la titolare della Giustizia incassa 405 voti di fiducia dalla maggioranza, mentre in 154 vogliono le dimissioni e 3 si astengono. «Il caso è chiuso?», le chiedono mentre esce dall'aula. «Finalmente!», si lascia scappare lei. Mancano pochi minuti alle quindici e non fa in tempo ad entrare nell'auto blu che le riferiscono la notizia appena battuta dalle agenzie di stampa sulla frase di Ligresti. Invece di commentare lo scampato pericolo, la Guardasigilli deve smentire la sospetta raccomandazione politica: «Falsa e destituita da ogni fondamento. Qui c'è un accanimento che non ha limite, c'è un disegno che non comprendo». Il portavoce definisce «surreale» la dichiarazione di Ligresti e precisa che la Cancellieri «non ha mai fatto il prefetto a Parma», ma due volte il commissario straordinario al Comune: da febbraio a maggio 1994, quando l'incarico è stato interrotto per la nomina a Prefetto di Vicenza e nel novembre 2011, prima di diventare ministro dell'Interno nel governo Monti.
Se quella di ieri è stata una vittoria della Cancellieri, lascia sul campo morti e feriti da tutte le parti. E chi ne esce più malconcia sembra proprio lei. Il governo delle larghe intese appare più indebolito che rafforzato, dopo aver trasformato l'attacco al ministro in attacco alla sua stessa sopravvivenza: lo ammette anche il segretario Pd Guglielmo Epifani, dicendo che ora serve «uno scatto». Il premier Enrico Letta, che ha accolto la sfida di Matteo Renzi e ci ha «messo la faccia» imponendo la disciplina di partito al Pd diviso, ora è esposto a critiche e malumori: «È una fiducia di Pirro - gli dice il capogruppo Fi Renato Brunetta-. Renzi, ormai capo del Pd, vuole sloggiarla al più presto. Il governo ha un doppio cappio attorno al collo». I democratici, uniti per forza contro la mozione, non risparmiano veleno al ministro e rimangono dilaniati tra le diverse anime proiettate verso le primarie. Sul Quirinale, che ha usato ogni mezzo per blindare il ministro, allontanare un rimpasto e allungare la vita dell'esecutivo, si addensano molte ombre. E lei, la Cancellieri, non è forse quello che diceva di non voler essere e cioè un ministro «dimezzato»?
Le dimissioni appaiono a molti solo rimandate, al massimo di un mese finché nel Pd cambieranno gli equilibri. Qualche sostituto già si riscalda a bordo campo. E le nuove rivelazioni sfuggite ad arte non più dalla procura di Torino, ma da quella milanese, non fanno che alimentare nuovi sospetti sulla correttezza dell'ex prefetto non solo nel caso Ligresti. Quei brani di interrogatorio, ci si chiede, sono stati tenuti fermi fino a un minuto dopo il voto alla Camera per salvarla o sono stati dati in pasto ai mass media per distruggerla? In aula il ministro non ammette nulla di sbagliato e, con piglio sicuro, difende il suo «onore», la sua «lealtà», la sua «fedeltà»: le accuse sono «false»; per Giulia Ligresti, passata dal carcere ai domiciliari dopo il suo intervento, non c'è stato «nessun inconsueto zelo»; non ha «mentito» al Parlamento; non c'è stata «nessuna omissione» ai pm, né delegittimazione della magistratura.
Molti rimangono scettici.
I cellulari dei grillini squillano tutti insieme in aula, mentre loro gridano: «Dimissioni!» e sventolano cartelli: «Cancellieri a casa!». Dagli altri banchi gli applausi sono pochi e poco convinti. Il prezzo della fiducia è alto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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