In attesa di una scuola eccezionale in un paese normale, accontentiamoci di un esame di maturità normale in un paese ancora lontano dal diventarlo. Negli ultimi anni le cosiddette «tracce» per gli scritti di italiano sembravano davvero orme malcalpestate di animali misteriosi e forse mitologici, difficili da immaginare quanto da scoprire.
L'anno scorso, per fermarci al 2013, furono proposti temi - come «Stato, mercato, democrazia» - tali da mettere in difficoltà il più scafato o dotto editorialista di qualsiasi grande quotidiano nazionale. Oppure argomenti capaci di mettere chiunque nelle condizioni di esprimere complesse banalità, come un vertiginoso «Individuo e società di massa». Per la storia, si chiedeva, con la massima semplicità, di indicare gli aspetti più rilevanti delle vicende novecentesche dei paesi del Brics, ma niente paura, soltanto due a scelta fra Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, mentre la più soave traccia su un tema generale proponeva il notissimo pensiero di Fritjof Capra su organismi macroscopici, competizione, cooperazione, creatività.
Insomma, sembrava che la scuola - al termine di tredici anni di studi, e di un quinquennio che doveva liberare alla vita e al lavoro, o predisporre all'università - chiedesse ai discepoli: «Ora dimostrami che sei fico, informato di tutto, capace di stabilire connessioni complesse e generare pensieri profondi. Dimostrami, caro allievo, che sono riuscita a formare in te un uomo pensante, se non addirittura intelligente: e, beninteso, se così non fosse, se non ce la fai, la colpa è tua, mica mia».
Sembrava un modo subdolo e mortificante per scaricare le responsabilità. Ponendo problemi complessi e di difficile soluzione, i vertici del ministero della Pubblica istruzione nascondevano il loro vero problema: creare e organizzare una scuola capace di insegnare a pensare, di formare cittadini dotati dei migliori strumenti per affrontare la vita con praticità, determinazione, efficienza.
Gli esami di maturità, per come sono concepiti, non servono a stabilire davvero le capacità e le possibilità di uno studente, tantomeno ponendo questioni che servono soltanto a frustrarlo più di quanto fosse già. In una scuola che è sostanzialmente rimasta nozionistica, più che formativa, ci si dovrebbe accontentare di scoprire se lo studente ha imparato le nozioni, e se sa destreggiarsi nell'utilizzarle.
Come fanno i temi di quest'anno, semplici e sodi. Una poesia di Quasimodo, il tema del «dono», la violenza e la non-violenza tratti caratteristici del Novecento, la tecnologia, le nuove responsabilità, il sofisticato ma concreto «rammendo delle periferie» e «L'Europa del 1914 e l'Europa del 2014: quali le differenze?».
Diamo ragione, dunque, al ministro Giannini,
che ha parlato di «una bella gamma di possibili riflessioni» capace di dare «a tutti la possibilità di esprimersi al meglio». Forza, ministro, ora tentiamo di dare anche alla scuola la possibilità di esprimersi al meglio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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