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"Ha plasmato anche la sinistra. Grazie a lui un Italia bipolare"

Il politologo: "Con la sua personalità ha imposto nuove regole del gioco ai partiti e nel rapporto con gli elettori"

"Ha plasmato anche la sinistra. Grazie a lui un Italia bipolare"

"L’Italia è il Paese che amo", con queste parole Silvio Berlusconi è sceso in campo nel 1994 e ha cambiato, rivoluzionato, il mondo della politica italiana. Il modo di farla la politica. Un visionario, un illuminato, un pioniere che ha lasciato un segno profondo. Non solo nel cuore di milioni di italiani che oggi lo piangono ma anche nella storia del nostro Paese. Un fenomeno politico ma anche sociale che ha attraversato gli ultimi trent’anni d’Italia. Ne è convinto chi la politica la studia, la insegna, come il politologo Alessandro Campi.

Professore, Silvio Berlusconi è stato un grande innovatore. Entra di diritto nei manuali della politica.

"A suo modo, tecnicamente, un rivoluzionario. I cambiamenti che ha introdotto nella politica italiana sono diventati strutturali e irreversibili. Nel campo della comunicazione e del linguaggio, come anche a livello di sistema politico con la nascita della democrazia dell’alternanza. Ha inventato inoltre il centrodestra, come formula e coalizione, sottraendo così la destra post-missina e il leghismo a un destino di marginalità, ma ha finito per plasmare a sua immagine anche la sinistra, che per quasi trent’anni ha trovato il suo collante emotivo e ideologico proprio nell’antiberlusconismo.

Quale è il capolavoro politico di Berlusconi?

"Dal punto di vista comunicativo, il “contratto con gli italiani” sottoscritto in diretta nel salotto televisivo di Bruno Vespa. Un giuramento politico preso sul serio da milioni di italiani, una messa in scena, in senso teatrale, da vero leader».

Un leader rivoluzionario che è riuscito a dividere le epoche. C’è un prima e un dopo a seguito della sua discesa in campo.

"C’era l’Italia in bianco e nero del bigottismo catto-comunismo, seguito, dopo la fiammata della contestazione studentesca, dal grigio plumbeo della violenza politica e del terrorismo. Berlusconi ha colorato e reso caleidoscopica la vita pubblica italiana».

Come?

"Prima con la televisione detta appunto commerciale e incentrata sull’intrattenimento ludico, non più dunque pedagogica e di Stato. Poi con la nascita fuori da ogni schema di Forza Italia: un partito “anarchico” come il suo fondatore».

Cosa lo ha reso unico?

"La sua personalità. Dal punto di vista della capacità politiche e imprenditoriali, decisamente fuori dal comune, al limite del visionarismo alla Elon Musk, ma anche sul piano strettamente umano e caratteriale. È un tratto, quest’ultimo, che sta emergendo molto nelle rievocazioni di queste ore: era un grande seduttore, amava tenere la scena, era naturalmente empatico, anche molto generoso a detta di chi lo ha conosciuto da vicino».

Ha segnato anche la politica estera del nostro Paese.

"È proprio su questa base personalistica che ha impostato anche la sua politica estera quando era al governo: la diplomazia del sorriso e della pacca sulle spalle».

Un atteggiamento criticato da molti.

"Sì, a suo tempo è stata molto criticato, in realtà la pacca sulla spalla ha funzionato e, con quello che sta accadendo nel mondo, sembra un modello al quale si guarda con nostalgia. La sua intuizione nel capo delle relazioni internazionali era semplice: dove si fanno affari non si fanno guerre».

Per oltre trent’anni Berlusconi è stato il protagonista assoluto della vita pubblica italiana, come ha cambiato la storia del Paese e il modo di fare politica?

"Ha imposto nuove regole del gioco, con il passaggio verso un tendenziale bipolarismo non tra partiti ma tra coalizioni. Nuove regole nei rapporti tra partiti, ma anche nel rapporto tra la politica e i cittadini. L’unico limite della sua parabola forse ha riguardato la mancata traduzione di queste trasformazioni in una nuova architettura istituzionale. Non è riuscito a cristallizzare le riforme che aveva in testa».

A proposito di bipolarismo, Berlusconi è il padre del centrodestra. Sua l'idea di unire i partiti già alle elezioni del 1994, una visione che lo ha visto al governo per dieci anni...

"Ha imposto l’idea che in una democrazia liberale chiunque può accedere al potere purché sostenuto dal consenso popolare. Sembra una banalità, ma l’Italia repubblicana nei primi cinquant’anni era stata sostanzialmente una democrazia bloccata e senza alternative».

Anche i suoi avversari ora parlano della fine di un'epoca, qual è la sua eredità?

"A Berlusconi tutti, anche i suoi avversari, debbono qualcosa. Non mi riferisco solo a quelli che sull’antiberlusconismo militante hanno costruito, tra magistratura e giornalismo, vere e proprie carriere. Mi riferisco anche a coloro che, pur combattendolo come un avversario, hanno dovuto sempre riconoscerne la forza visionaria, la tenacia caratteriale, la volitività, la testardaggine. La sua eredità probabilmente non esiste, nella misura in cui certe doti psicologiche, caratteriali e, nel suo caso, anche fisiche non si possono trasmettere.

Gli sopravvive piuttosto un sogno politico: quella rivoluzione liberale che lui ha annunciato senza riuscire a realizzarla».

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