Da Hollande al Papa, è caccia al ricco

E ti pareva. È ripartita la crociata contro i ricchi. Obama è in testa, Hollande segue con l'artiglieria (...)

(...) fiscale, il capo dei laburisti inglesi Miliband affila le armi per sconfiggere i ricchi e la ricchezza e il Papa non si tira indietro, anzi avanza di tre passi.
Ha senso tutto ciò? Risposta: emotivamente parlando, sì, ha senso; il mondo è in crisi, i disoccupati aumentano, i giovani sono senza lavoro e senza futuro e in Italia gli scandali sconci e truci indignano e mandano fuori dai gangheri. Il fatto è però che quando si dice «ricchi» si allude a una categoria molto vasta e variegata. Chi sono costoro? Facile, sono quelli con un sacco di soldi. Domanda di riserva: ma sono tutti uguali i ricchi, una volta accertato il loro conto in banca? Risposta altrettanto ovvia: no, non sono tutti uguali e la differenza è evidente. Ci sono tre diverse categorie di ricchi: i buoni ricchi che producono ricchezza, i fortunati che ereditano patrimoni creati da altri e infine i cattivi ricchi, criminali inclusi, che hanno fatto i soldi rubando.
Dunque, prendersela con i ricchi come se fosse una categoria fatta della stessa pasta, è un errore. Ma un errore popolare. Fa impressione vedere però un arretramento dei protestanti su posizioni tradizionalmente cattoliche. Per i cattolici, tradizionalmente, il denaro è sterco del demonio. Si enfatizza la frase mal tradotta del Vangelo in cui si dice che entra più diritto il filo nella cruna dell'ago che un ricco in paradiso, grazie all'equivoco della stessa parola che in greco vuol dire sia filo che cammello. Poiché i cammelli non entrano nella cruna, neanche a un solo ricco è dato sperare nella salvezza.
I protestanti e specialmente i calvinisti l'hanno invece sempre pensata in un altro modo, basta leggere il sempre attuale «Etica protestante e spirito del capitalismo» di Max Weber. E cioè: chi è ricco per aver ben lavorato e aver bene investito e prodotto, mostra con questa sua ricchezza la benevolenza di Dio che già lo ha scelto. Il povero invece è un individuo sospetto: perché non va a lavorare? Perché bighellona? Come mai Dio non lo ama? Che cosa c'è di sbagliato in lui?
Adesso sembra che siamo di fronte a un arretramento nordico e anglosassone su posizioni populiste di tipo meridionale, cattolico e piagnone. Non si fanno distinzioni fra chi produce ricchezza e chi la consuma senza produrla e li si mette tutti a regime stretto come se fossero un'unica banda di grassatori. Ma, fateci caso, nessuno ha da ridire sulle ricchezze di coloro che guadagnano molti soldi, per esempio scrivendo libri di successo mondiale, o i soliti calciatori quotati in Borsa, o gli attori più pagati del pianeta, o i cantanti, i musicisti che vendono milioni di dischi. Per queste categorie in genere si manifesta qualche imbarazzo per le cifre dell'ingaggio nel mondo sportivo.
E così abbiamo una serie di decisioni ammazza-ricco che si stanno omogeneizzando in Europa e nel mondo, consistenti per lo più in una torchiatura fiscale da togliere il fiato. Il rischio è che in questo modo si ammazzi, insieme ai parassiti, ai ladri, agli imbroglioni, ai mascalzoni che usano il denaro pubblico per i loro interessi privati, anche la gallina dalle uova d'oro, cioè quell'imprenditoria che - sola - può produrre posti di lavoro e rimettere in pista il Pil. Miliband, ad onor del vero, ha sbattuto anche la porta in faccia ai sindacati chiarendo che non ci saranno aumenti di stipendio né aumento della spesa pubblica.
Hollande già provocò il panico fra gli imprenditori durante la campagna elettorale prima di entrare all'Eliseo, quando disse di voler portare l'aliquota al 75 per cento per chi ha più di un milione di euro. Fuga verso il Belgio, gli Stati Uniti e la Svizzera. Ora è Bernard Arnault (un patrimonio di 41 miliardi di dollari in cassaforte) a fare le valigie, anche se ancora non parte: Arnault ha tutti i marchi degli champagne più famosi e l'alta moda con Bulgari, Vuitton, Christian Dior, Fendi, Pucci e molto altro.
Il Papa tedesco per fortuna è stato più preciso e meno generico: «No ai ricchi disonesti» e poi un elogio dell'equità che non si è mai capito bene che cosa sia, oltre ad essere una rasserenante parola. Da noi ha un suono pericolosamente simile ad Equitalia e spinge la mano ad impugnare la pistola. Il Papa non condanna i ricchi buoni, ma chiede da parte loro uno sforzo sia di decoro che di solidarietà, dunque una inclinazione ad aprire la borsa e distribuire alcune quote dei loro patrimoni.
Infine l'America. Quasi mai negli ultimi decenni i presidenti sono stati grandi milionari. Almeno dopo Kennedy che veniva da una delle più facoltose famiglie irlandesi d'America. Ma Obama, che non è un povero diavolo e che può sostenere per la seconda volta una campagna in cui deve impegnare molti milioni di dollari, sembra puntare tutto sulla colpevolizzazione della ricchezza e dunque sulla demonizzazione del suo avversario alle imminenti elezioni, Mitt Romney, il quale non soltanto ha la colpa incancellabile di essere un ricco imprenditore, ma anche quella di aver imprudentemente alluso a quel «quarantasette per cento di cittadini americani» che in un modo o nell'altro vivono di stipendi pubblici e dunque, ai suoi occhi calvinisti, come dei parassiti. Così negli Usa la guerra per l'elezione del presidente si è trasformata in una guerra di religione. Romney sostiene i valori che rendono l'America lontana milioni di anni luce dal Canada e Obama sostiene uno Stato dei poveri, costoso, europeizzante, con un «big governement» cioè una burocrazia costosa e improduttiva.
Come finirà questo scontro lo sapremo fra poco, ma gli osservatori assegnano ancora un buon margine a Obama che viaggia in sintonia con l'Europa di Hollande e Miliband, e non parliamo dell'Italia.

segue a pagina 17

di Paolo Guzzanti

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