I due goccioloni negli occhi del piccolo Gabriele, cinque anni, davanti alle immagini del documentario «Green Hill, una storia di libertà», diretto da Piercarlo Paderno, non potranno lavare il dolore ancora caldo nelle pagine dell'epica della vergogna, ovvero l'odissea iniziata il 24 aprile 2010 che ha portato alla liberazione di più di duemila e settecento beagle dal canile di Montichiari il 18 luglio 2012, dove erano rinchiusi per essere destinati alla vivisezione, e li ha salvati nella culla della «viviemozione» mettendoli nelle mani di famiglie che si prendono cura di loro.
Ma salvi lo sono davvero? Il 21 febbraio la Corte di Cassazione dovrà esprimersi sul ricorso effettuato dalla Green Hill 2001 srl, la società che gestiva l'allevamento di beagle, e che chiede di annullare il sequestro probatorio in atto dei quasi tremila animali, con conseguente restituzione al canile. Le lacrime di un bambino, che a tutti i costi ha voluto conoscere la triste vicenda della sua Sophie, la «sorellina» con orecchie lunghe e coda, nata a Green Hill, a cui deve la grazia d'essere riuscito a vincere la paura del buio, mostrano che la storia non ha ancora il suo lieto epilogo.
L'odissea potrebbe naufragare tra gli scogli della Corte. «Mi aspetto che il 21 febbraio la Cassazione riconfermi il sequestro probatorio dei cani voluto dalla Procura di Brescia - dichiara Maria Vittoria Brambilla, la «pasionaria» di Green Hill -. In ogni caso gli animali non torneranno a Montichiari perché abbiamo già pronto un piano «B». Confido che la legge contro la detenzione di animali destinati ai laboratori, già approvata alla Camera con una maggioranza talebana, venga quanto prima varata anche dal Senato».
Nel frattempo Gabriele ha imparato a percorrere il corridoio che va verso la sua camera da letto sui suoi piedini e senza piangere perché con lui c'è Sophie, uscita dalle tenebre di un lager bresciano per sfatare il terrore dell'oscurità dalle ciglia di un cucciolo d'uomo. Due pupille di bimbo e due di cane insieme vedono la luce. «È la mia piccola - racconta Giovanni Italiano, padre di Gabriele -. Restituirla a Green Hill? Mai. Pagare per lei duemila euro? Non c'è problema, ma Sophie rimane con noi. Qui non si tratta di leggi o di sentenze, qui si tratta di sentimenti. Questo cagnetta è la mia bambina. Le lego le orecchie ogni notte; le ha troppo lunghe e le procurano fastidi. Non è esercizio o dovere, è amore per chi non lo avesse ancora capito».
Guerra e amore: questa è l'epica. E se qualcuno chiama la guerra, che guerra sia. «Vogliono rinchiudere il cane in gabbia per una questione di principio? Mi presento io il 21 febbraio a Green Hill, che mettano in gabbia me piuttosto del cane» dice Lorenza Pagano di Lecco, proprietaria di Barnaby, così chiamato in onore del mitico ispettore. Oggi Barnaby svolge le sue indagini scodinzolando, libero finalmente dal filo spinato e le uniche spine che conosce sono quelle delle rose. «Le famiglie che hanno ricevuto un cucciolo come me sono fortunate - continua Lorenza Pagano - ma so cosa stanno affrontando coloro che hanno adottato le fattrici. Sono cagnoline a cui si devono fasciare le mammelle perché erano diventate così lunghe a causa dei continui parti, che impedivano loro di camminare. Sono atrocità che non possono trovare parole. Noi vogliamo farle dimenticare a questi cani; uso il «noi» perché si è costituito uno legame di fratellanza tra i proprietari dei beagle di Green Hill». Il canile di Montichiari è deserto. La vicenda è costata cinque milioni di euro alla società americana allevatrice di beagle. Il puntiglio ha il suo prezzo.
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