I corvi avvertono: 14 anni per la ripresa

Senza speranza: il verdetto dell'istituto Prometeia sull'economia italiana, destinata a non riprendersi prima del 2020, non lascia spazio all'ottimismo. E nella miglior tradizione dei profeti di sventura, guarda lontano: fin troppo. Visto che, come proprio la crisi ci ha insegnato, le previsioni spesso vengono smentite dai fatti: nel bene come nel male, a cominciare da quelle delle agenzie di rating, vedi il rassicurante AA- attribuito a Lehman Brothers alla vigilia del fallimento.
A Prometeia, comunque, non si può certo imputare l'incertezza: già l'anno scorso, infatti, aveva espresso le stesse, nerissime opinioni. Secondo l'istituto, all'Italia non basteranno 14 anni per recuperare i livelli di crescita del Pil perduti: e alla fine del periodo saranno ancora inferiori ai valori pre-crisi di circa il 2 per cento. Tra il 2015 e il 2020, comunque, il tasso di crescita medio si collocherà stabilmente in territorio positivo (+1,1%): ma in uno scenario economico cambiato dalla recessione in modo ormai irreversibile. L'industria infatti ridurrà in modo permanente l'occupazione a favore di un incremento di produttività: impossibile tornare ai livelli antecrisi, quando il tasso di disoccupazione italiano era intorno al 6 per cento. Per il 2020 è previsto un 9%, che comunque rappresenterebbe un successo rispetto al 12% attuale. Mentre la tensione sociale è alle stelle, avverte il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che dà l'aut aut al governo: «Trovi un miliardo e mezzo entro maggio per la Cig in deroga. Altrimenti 700mila cassintegrati andranno ad aumentare le file dei disoccupati».
Ma a deprimere l'economia concorre anche - o forse soprattutto - la pressione tributaria. Gli italiani sono i più tartassati d'Europa: solo gli scandinavi pagano più di noi, ma in cambio di servizi pubblici e livelli di welfare non riscontrabili altrove. A sostenerlo la Cgia di Mestre che ha elaborato i dati presentati nei giorni scorsi dall'Eurostat, scorporando dalla pressione fiscale il peso dei contributi previdenziali, così da mettere in luce il peso di quanto finisce effettivamente alla fiscalità generale. Ebbene, l'Italia si colloca al quarto posto di questa speciale graduatoria con una percentuale del 30,2. Niente a che vedere con la tassazione che grava sui nostri principali competitor europei. Se il Regno Unito registra una pressione tributaria (28,6%) di 1,6 punti inferiore alla nostra, in Francia il carico tributario (27,9%) è minore di 2,3 punti ed in Germania (23,6%) addirittura di 6,6 punti. Rispetto alla media dell'Unione europea (26,5%), in Italia il peso di tasse, imposte e tributi sul Pil è di 3,7 punti percentuali in più e addirittura superiore di 4,5 punti della media dei Paesi dell'Eurozona(25,7%).
Per le imprese, intanto, le aspettative sul credito restano strette. La domanda di finanziamenti, sempre secondo l'istituto Prometeia, dovrebbe mantenersi stabilmente poco al di sopra dei 60 miliardi di euro l'anno nel quinquennio 2016-2020. Il credito bancario si stima che possa soddisfarne solo il 40%, mentre la parte rimanente dovrà essere soddisfatta attraverso il ricorso ad altri strumenti di finanziamento, obbligazioni ed azioni.
Un punto su cui batte anche il Centro studi Confindustria. «La scarsità di credito bancario frena gli investimenti e la crescita - si legge nel report del Centro - Serve nuova finanza per le imprese insieme a interventi diretti a sbloccare il circolo vizioso credit crunch recessione».

Secondo Csc, alle aziende servono 90 miliardi in 5 anni, e vanno trovati aprendo canali alternativi a quello bancario come i bond, anche in formato «mini» per le Pmi, e il rafforzamento del ruolo della Cassa depositi e prestiti.

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