«Avevamo un patto e lui lo ha tradito». È un Matteo Renzi furibondo quello che descrive prima ai suoi, poi - per telefono - anche al capo dello Stato il «voltafaccia» di Enrico Letta. Iniziato, nella ricostruzione del segretario Pd, un attimo dopo che Renzi aveva lasciato Palazzo Chigi in Smart, raccontando ai suoi interlocutori un faccia a faccia molto duro per i primi tre quarti d'ora, ma alla fine più civile. Alla fine del quale si era individuato un «percorso condiviso» per la staffetta, con il pieno riconoscimento da parte del Pd del lavoro fatto dal governo, con l'impegno del successore a portare avanti l'opera iniziata da Letta, e con la parola chiave, «dimissioni», pronunciata dal premier uscente, e l'offerta del ministero degli Esteri messa sul piatto. Invece, nella ricostruzione renziana, un attimo dopo che la Smart azzurra aveva ingranato la prima per riportare Renzi al Nazareno, da Palazzo Chigi sono iniziate a trapelare ricostruzioni diverse: un confronto al termine del quale i due erano «rimasti ognuno sulle proprie posizioni», e l'annuncio di una conferenza stampa per presentare il nuovo programma di governo di Letta, con tanto di logo, della quale il premier non gli aveva fatto cenno. Insomma, un Letta deciso ad andare fino in fondo allo scontro, obbligando Renzi e il Pd a sfiduciarlo platealmente. «Si è messo in testa di fare il piccolo Prodi», dicono i renziani.
La reazione del sindaco è dura: «Se è così, allora si va al voto». Un messaggio che serve anche a scuotere i partitini della maggioranza, da Scelta civica agli alfaniani, per costringerli a uscire allo scoperto invece di restare alla finestra a guardare il cerino nelle mani del Pd. Nel frattempo, il governo Renzi è «pronto», squadra e programma, viene spiegato a tutti gli interlocutori, dal presidente di Confindustria Squinzi al leader di Forza Italia Berlusconi. Solo che a Palazzo Chigi c'è ancora un premier del Pd, «e sfiduciare domani in Direzione uno dei nostri è operazione sanguinosa», dice il dalemiano Michele Ventura. Letta lascia anche in sospeso la minaccia di chiedere un passaggio parlamentare, per costringere la sua maggioranza a voltargli le spalle. «Non ha ancora deciso», spiegano da Palazzo Chigi, «intanto aspetta di vedere che reazioni ci sono al suo programma, e che succede dentro il Pd: i sondaggi sono tutti contro la staffetta, la periferia del partito è in ebollizione, Renzi non è tipo da sottovalutare questi segnali. La sua operazione è già molto avanzata, ma non è escluso che possa ancora arretrare». Per Pippo Civati «la Direzione di domani rischia di trasformarsi in un western». La minoranza bersanian-dalemiana, riunita tutto il pomeriggio, parla per bocca di Gianni Cuperlo: «Non possiamo nascondere la grande preoccupazione per la piega che ha assunto il confronto interno, ora tocca al segretario dire parole chiare». A sera tutto lo stato maggiore pro Renzi è riunito al Nazareno. Ci sono i capigruppo Speranza e Zanda, il ministro Delrio, Piero Fassino, arriva anche il ministro Dario Franceschini, protagonista la sera di martedì di un durissimo scontro con Enrico Letta, che lo ha accusato di averlo «tradito», preparando alle sue spalle la successione di Renzi. Tutti riuniti a preparare lo show down di oggi pomeriggio, nella Direzione del Pd. «Parlerò chiaro davanti a tutti», dice il segretario.
La Direzione verrà trasmessa in streaming, e Renzi a sera ribadisce ancora l'alternativa: o la staffetta concordata, o il segretario del principale partito, nelle consultazioni al Colle, chiederà di andare subito al voto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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