Politica

I diritti di una mamma calpestati dalla giustizia

Lady Matacena è in cella per aver aiutato la latitanza del marito condannato per mafia. Ma con la carcerazione preventiva si costringono ai servizi sociali anche i figli innocenti

Chiara Rizzo lascia gli uffici della polizia di frontiera di Ponte San Luigi (Imperia)
Chiara Rizzo lascia gli uffici della polizia di frontiera di Ponte San Luigi (Imperia)

"Da quando sono detenuta non ho più notizie di mio figlio quindicenne, ho bisogno di aiuto. Non so se sta con la sorella. Non so chi si sta prendendo cura di lui».

Proviamo ad aspettare qualche riga prima di svelare di chi sia lo sfogo (perché in Italia, quando si tratta di «certe» persone ogni convinzione sul diritto si deteriora in fretta) e proviamo solo a sintonizzarci sull'effetto che questa frase fa. Sa di ruggine e gelo.

È la frase di una madre che da quindici giorni è in carcere a Reggio Calabria, in detenzione preventiva con le accuse di aver agevolato la latitanza del marito e di intestazione fittizia di beni. Ma non è nel merito delle accuse (o degli eventuali reati) che vogliamo inoltrarci. A farci impressione è un Paese in cui si incarcera una mamma (preventivamente per di più) e, di fatto, si condannano ai servizi sociali i suoi figli. A farci impressione è un Paese dove una madre incarcerata (chiunque essa sia) sparisce dai radar dei suoi affetti come certi aerei che sbagliano rotta. A farci impressione è un Paese in cui una madre (chiunque essa sia) è costretta ad affidare la propria angoscia per un figlio minorenne di cui non sa più nulla da giorni a un frettoloso incontro dietro le sbarre con un senatore in visita. A farci impressione è un Paese che concede attenuanti a chiunque e che diventa improvvisamente granitico e intransigente e ottusamente violento quando si tratta «solo» di qualcuno. Allora i giudizi grandinano feroci e non ci si limita ai giudizi. Specie se sei ricco, biondo, dedito alla bella vita. E va bene, può starci la rabbia e ancor più l'antipatia. Fino a quando non intossica al punto da renderci persecutori incongrui.

Loro, i figli condannati per estensione, si chiamano Francesca (vent'anni) e Athos (quindici). Lei, la madre, si chiama Chiara Rizzo, o Lady Matacena, come preferite. E sì stava a Montecarlo ed era «amica» di Scajola, e dava feste e beveva champagne, e aveva un sacco di macchine sopra alle quali si sdraiava per farsi fotografare in abito da sera. E probabilmente c'è di più. E va bene. Ma poi ci sono Francesca e Athos, che hanno un padre (Amedeo Matacena) già latitante a Dubai, che hanno visto le immagini della mamma in tv, arrestata a Nizza sulla scaletta di un aereo appena atterrato proprio da Dubai, dove era arrivata per cercare di raggiungerli. Le manette francesi attorno agli esili, famigliarissimi polsi, il pianto a dirotto, i poliziotti, i fotografi. E la mamma «inghiottita» prima in un carcere e poi in un altro. Chiusa, allontanata da qualche parte dove starà in qualche modo. Chissà come se la immagina un figlio, la propria mamma in galera. Come si immagina la cella e il tempo e l'odore e la luce e i pasti. La galera che limita la libertà di un corpo dal quale un figlio si ricorda improvvisamente di essere uscito. Una madre in cella torna ad essere anche un corpo. «Il» corpo. Una geografia che un figlio improvvisamente ripercorre a memoria e diventa strappo. La carne a brandelli. Due cose diverse un'altra volta. Lacerati, divisi ma stavolta da adulti.

Ci fa impressione un Paese che strappa le madri dai figli e i figli dalle madri. Senza buon senso e rispetto, senza cautela e pudore. Per chiunque.

Perché i figli di Chiara Rizzo, o Lady Matacena la spavalda, la coppa di champagne, come preferite, non sono meno figli degli altri.

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