Politica

I giornaloni vanno alla guerra sul Colle

I retroscena di Repubblica e Corriere, spesso interessati, irritano Napolitano. Che avverte: "Farò quello che devo"

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Roma - E ora, cari partiti, metteteci la faccia. Infatti, dice Giorgio Napolitano, è solo con «la partecipazione» che «si vincono le sfide più dure», è solo con l'impegno che si ottiene «un'Italia migliore». La crisi morde e non aspetta i tempi barocchi del Palazzo, da qui, in un telegramma, l'appello presidenziale «allo spirito di solidarietà, fondamento della società civile». Il capo dello Stato parla del sisma emiliano e dei soccorsi, ma in fondo anche la politica è stata terremotata, anche il governo va estratto dalle macerie.
Napolitano ha già ben chiaro come procedere nelle operazioni di recupero. Per muoversi però aspetta che cominci la partita vera, che «si alzi la nebbia» fatta da tatticismi e manovre, resa ancora più densa da certi retroscena giornalistici. Ricostruzioni che il Quirinale considera interessate, come ad esempio quelle propinate a giorni alterni da Repubblica. Il partito-giornale, che sta tirando la volata a Bersani, sostiene che il presidente «ha poche frecce», ha «un solo colpo in canna», è «stretto tra le scadenze» e, se il segretario del Pd fallisce, può solo aspettare che il prossimo capo dello Stato rimandi il Paese alle urne. Ad irritare il Colle è il «non detto», il messaggio subliminale, la minaccia nascosta: il centrosinistra ha le forze e i numeri per eleggere un presidente della Repubblica più disponibile. E mentre la Stampa suona l'allarme internazionale, più gradite, e più informate, appaiono le supposizioni del Corriere della Sera.
Ma dalla guerra dei retroscena viene fuori un capo dello Stato che ha ben chiaro dove mettere la prua. Innanzitutto, Napolitano non ha alcuna intenzione di fare passi indietro a favore del Prodi di turno: «Farò quello che devo fare fino alla scadenza del mio mandato». Secondo punto, Re Giorgio non si rassegna «agli scenari catastrofisti» di chi vede solo le urne come possibile approdo. L'altro giorno, durante la cerimonia per l'8 marzo, ha rivolto gli auguri «ai membri del futuro esecutivo», come se la nascita di un nuovo governo sia un fatto scontato.
Punto numero tre: Pier Luigi Bersani, leader della maggioranza relativa, avrà probabilmente l'incarico, con riserva. Ma nel giro di pochi giorni gli si chiederà di tornare sul Colle e mostrare le carte: se non avrà raccolto i numeri necessari per la fiducia al Senato, grazie lo stesso, Napolitano lo pregherà di mollare subito evitando prove di forza o avventure in Parlamento.
Nel frattempo l'alternativa dovrebbe essere giunta a maturazione. Il piano B prevede un governo del presidente, o istituzionale, sganciato dai partiti ma sorretto da loro, retto da una forte personalità neutrale, aggregato su un programma limitato: economia, riforma elettorale, leggi anti-casta.
Certo, non sarà facile, serve «un clima disteso e collaborativo». Ma nemmeno impossibile. Il banco di prova tra pochi giorni, quando le Camere sceglieranno i nuovi presidenti e formeranno i gruppi parlamentari: se al Senato verrà eletto un esponente del Pdl, sarà un ottimo viatico.

Intanto Napolitano registra con soddisfazione alcuni piccoli segnali: da Enrico Letta che propone di condividere le commissioni parlamentari, ad Angelino Alfano che esprime «fiducia nella saggezza e serietà del capo dello Stato». Qualcosa si muove

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