I libici sequestrano e sparano contro due pescherecci italiani

I libici sparano e sequestrano due pescherecci italiani in acque internazionali che considerano di loro proprietà, come ai tempi del colonnello Gheddafi. Dalla caduta del regime siamo al quarto incidente in mezzo al mare nella "guerra" del pesce fra Italia e Libia. Il primo, però, con raffiche di mitra secondo il sindaco di Mazara del Vallo, il porto da dove erano partiti i pescherecci.
Il Daniela L ed il Giulia PG sono stati fermati verso le 13 di ieri a circa 40 miglia dalla costa libica. Il primo, dell'armatore palermitano Cosimo Lo Nigro, era già stato sequestrato per una settimana nel 2010, ai tempi di Gheddafi.
Secondo il sindaco di Mazara, Nicola Cristaldi, i libici «hanno aperto il fuoco e questo è di gravità assoluta. Niente può giustificare azioni di tale portata». Negli incidenti precedenti era stato minacciato l'uso della armi, senza mai sparare. «I segni dei colpi sono ben visibili sulle fiancate dei pescherecci - ribadisce il sindaco di Mazara - I natanti erano in acque internazionali anche se, come è noto, i libici ritengono quelle acque di loro pertinenza».
A bordo ci sono 14 uomini d'equipaggio fra italiani e tunisini, che sono stati scortati verso il porto di Bengasi. Armatore e comandante del peschereccio Giulia PG è Domenico Asaro, che si trova a bordo con il resto dell'equipaggio. Un veterano della «guerra» della pesca. Nel febbraio 2010 era riuscito a sfuggire ad un tentativo di cattura da parte dei libici che avevano sparato raffiche di mitra. Quattordici anni prima, invece, lo avevano acciuffato con il peschereccio Osiride condotto a Misurata. Asaro venne imprigionato per sei mesi nelle carceri libiche.
Da Bengasi, ieri sera alle 19.30, il console italiano, Giuseppe De Sanctis, confermava il sequestro, ma era ancora in attesa dell'arrivo dei pescherecci. «Li aspettiamo al molo da un momento all'altro, ma dopo averli fermati non permettono all'equipaggio di comunicare» spiega il diplomatico a il Giornale.
Da bordo, devono essere riusciti a lanciare l'allarme a Mazara Del Vallo. Poi i libici hanno sequestrato i telefonini ed imposto il silenzio radio. «Bisogna mettere fine a questa guerra, perché di guerra si tratta. Ora basta» denuncia Giovanni Tumbiolo, presidente del Distretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo. Dalla caduta di Gheddafi siamo al quarto caso italiano, mentre non si contano gli arresti di pescatori egiziani e tunisini. Una specie di «guerra» del pesce iniziata lo scorso novembre con il sequestro di due pescherecci mazaresi a Misurata ed una settimana prima un altro a Tripoli. Nonostante abbiamo aiutato i ribelli a conquistare il potere a suon di bombe adottano ancora la vecchia legge del colonnello Gheddafi, che nel golfo della Sirte estendeva le acque libiche a 72 miglia, mentre dovrebbero essere 12. L'ultima volta, prima del sequestro di ieri, i libici hanno sbattuto in galera 12 pescatori italiani e sette tunisini. Le loro tre imbarcazioni erano state scortate a forza a Bengasi il 7 giugno. Agli inizi di luglio sono tornati a casa grazie all'intervento della diplomazia italiana. Però fa un po' rabbia che dopo aver mollato Gheddafi i nostri «alleati» ci trattino a pesci in faccia sbattendo in galera degli italiani grazie a vecchie leggi del colonnello. O addirittura sparando come sarebbe capitato ieri. «Siamo alla mercé di miliziani in giro per il Mediterraneo - spiega Tumbiolo da Mazara del Vallo - che non rispondono alla catena di comando di paesi che si accingono a preparare nuove Costituzioni e nuovi governi. Tutto questo è pericoloso. Dobbiamo tutelare i pescatori».
Un altro lato oscuro della primavera araba, che si sta dimostrando in molti frangenti un boomerang. Per seguire il nuovo caso si è mobiliato l'ambasciatore italiano a Tripoli, Giuseppe Buccino Grimaldi.

Nella capitale, però, il governo non esiste. Il premier Mustafa Abu Shagur è stato sfiduciato per la seconda volta dal nuovo parlamento post rivoluzionario e ieri sera ha rassegnato le dimissioni.
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