I nemici del segretario boicottano la trattativa con Berlusconi sulla legge elettorale. Ma lui li zittisce: mica lo vedo per un caffè

Roma«Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato». È perentorio, Matteo Renzi, pronto ad affrontare oggi in Direzione anche la minoranza interna che rumoreggia e gli intima di «non resuscitare il pregiudicato Berlusconi», come dice il bersaniano D'Attorre sfidando il segretario ad «avere l'accortezza di non incontrare il Cavaliere».
Renzi però non è disposto a farsi intimidire da chi «dice a me di non incontrarlo dopo che con lui ci ha fatto il governo». E spiega che se vedrà il Cavaliere non sarà certo per «prenderci un caffè», ma per «provare a chiudere sulla legge elettorale». Sa bene che i suoi avversari interni al Pd vogliono usare lo spauracchio Berlusconi per ostacolare la sua corsa verso una legge elettorale maggioritaria (e verso una possibile accelerazione del voto), e costringerlo a fare un accordo con il solo Alfano, sotto gli auspici di Enrico Letta.
E proprio per questo nei suoi colloqui con gli emissari del Cavaliere e con lo stesso Berlusconi è stato chiaro: «L'accordo deve essere complessivo, sul sistema elettorale, ma anche su abolizione del Senato e modifica del Titolo quinto». E a quel punto, secondo i berlusconiani ma anche secondo diversi esponenti del Pd, l'accordo si potrebbe fare anche sul modello spagnolo, che rafforza i partiti maggiori e taglia le gambe a quelli piccoli. Solo però se la cornice sarà quella di una grande riforma complessiva, permettendo a Renzi di mettere a tacere la fronda interna. Guidata da quegli stessi che, ricorda, non solo hanno fatto «un governo col Cavaliere», ma che nel 2005, per bocca di Franceschini e Fassino, denunciavano il «vergognoso colpo di mano» di una legge elettorale (il Porcellum) fatta a maggioranza. Ha già pronte le dichiarazioni dell'epoca, scovate da Roberto Giachetti, tanto per «rinfrescare la memoria» sulle posizioni storiche della sinistra a chi ora vuole una legge elettorale a maggioranza. In particolare al ministro Dario Franceschini, nel mirino dei renziani perché «lavora per restare con la legge proporzionale». E c'è il forte timore che, protetti dal voto segreto a Montecitorio, i frondisti Pd possano cercare di impallinare eventuali accordi maggioritari. «È chiaro però che se proviamo a fare una legge elettorale e il Parlamento la sabota, saltano il governo e la legislatura», avverte Renzi con i suoi.
In attesa di incontrare il Cavaliere per «chiudere» un accordo, se sarà possibile, il leader Pd continua la sua girandola di incontri, e ieri ha visto Angelino Alfano. Incontro preceduto da una gran quantità di ceffoni assestati al Ncd (dal caso De Girolamo allo ius soli) e quindi non proprio amichevole. Anche perché Renzi mette in chiaro con i suoi che «io non ho nulla contro il doppio turno» invocato da Alfano, a patto che ci sia un «premio di maggioranza che indichi un vincitore chiaro», ma «le condizioni che vorrebbe Angelino, circoscrizioni larghe e preferenze, se le scorda».


In Direzione, la sinistra interna di Cuperlo vuole comunque sfidare il segretario (senza presentare documenti, perché «finiremmo in netta minoranza») sia chiedendo una posizione «ufficiale e unitaria del Pd» sulla legge elettorale, in modo da legargli le mani sul doppio turno voluto da Alfano; sia invocando «un impegno chiaro a sostegno del governo Letta», che va «rilanciato attraverso un'ampia revisione della squadra, che così com'è non funziona». Quindi un Letta bis, al quale ammanettare Renzi. Che però da quell'orecchio non ci sente proprio.

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