RomaI prodiani escono dalle retrovie, si riprendono la scena e mettono le carte in tavola. Il giorno dopo il retroscena con cui il Giornale ha svelato la pazza voglia del Professore di giocarsi fino in fondo la partita del Quirinale e le pressioni che sta esercitando sulla segreteria Bersani affinché blocchi l'accordo bipartisan sulla bozza di riforma della legge elettorale firmata da Migliavacca e Verdini, i parlamentari a lui storicamente più vicini lanciano una nuova proposta del tutto conforme ai desiderata del loro mentore. L'obiettivo, ripetono in coro, è quello di sminare il terreno ed eliminare il pericolo di una legge «ben peggiore del Porcellum» sulla quale potrebbe già esserci un accordo sottobanco ma che «comunque ci riporterebbe alla Prima Repubblica e al tempo dei governicchi». I rappresentanti dell'ortodossia ulivista schierati compatti contro l'ipotesi di una riforma che prevederebbe un premio al primo partito e non più alla coalizione, vedono in prima fila Arturo Parisi, ma anche altri esponenti di primo piano di quella stagione come Antonio La Forgia, Giulio Santagata, Ricardo Franco Levi, Albertina Soliana, Sandra Zampa e Mario Barbi.
La ricetta alternativa messa in campo è un sostanziale ritorno al passato, ovvero una riedizione del Mattarellum con la delega al governo per scrivere il regolamento delle elezioni primarie per la scelta dei candidati «in modo che per la prima volta ci sarebbe un elemento normativo a vincolare l'utilizzo di questo strumento». In sostanza in tempi in cui tutte le forze politiche sembrano compatte nel proporre sistemi proporzionali, i prodiani spingono compatti per un ritorno al maggioritario, ovvero un sistema che favorirebbe la formazione delle alleanze prima del voto. Proprio quello che Romano Prodi auspica per aumentare le possibilità di completare la scalata al Colle più alto. «Perché il maggioritario? Perché ha dimostrato che funziona», la motivazione ufficiale addotta da Parisi.
Un'asserzione accompagnata dal ricordo di due competizioni all'arma bianca come quelle dello stesso Parisi nel collegio 14 di Bologna contro l'ematologo Sante Tura, oppure il caso di Sassari dove Mario Segni venne sconfitto dall'arenino Porcu perché la Dc per dispetto non lo volle eletto. Il «nemico» individuato da Parisi è soprattutto uno: lo spettro del ritorno al proporzionale, a «una politica in cui l'organigramma è il punto di partenza e non di arrivo». Il tutto accompagnato a una postilla che anticipa il retropensiero di molti. «E questo valga come replica, nel caso servisse, a chi sostiene che si frena sulla legge elettorale per spianare a Prodi la strada per il Quirinale». Insomma per Parisi «non basta superare il Porcellum, contro il quale facemmo le veglie fuori, con una legge elettorale quale che sia perché ce ne sono di peggiori, tipo quella a cui pare si stia lavorando. La legge che vorrebbero ci riporta a prima del colpo di mano, a prima della famosa porcata promossa anche da Casini, a prima del Porcellum».
L'affondo di Parisi ha un destinatario preciso: il suo partito, il Pd, quella forza che fino a pochi giorni fa sembrava aver raggiunto un accordo con il Pdl e ora sembra aver ingranato la marcia indietro o almeno aver tirato il freno a mano. «Fermatevi. Ricordatevi della Grecia e del tempo dei governicchi». Come dire che i prodiani, individuata la crepa nelle già labili certezze del Pd, vogliono provare ad allargarla fino a far saltare definitivamente il lavoro preparatorio svolto a livello bipartisan in questi mesi.
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