I suicidi? Uno choc Ma non nei numeri

Ieri ci siamo occupati di omicidi e abbiamo scoperto, non senza sorpresa, che noi italiani siamo scarsi anche come criminali, benché la mafia, la 'ndrangheta e la camorra ci diano una mano per non «sfigurare» troppo nelle statistiche: i delitti diminuiscono a vista d'occhio e negli ultimi lustri siamo scesi sotto quota 3.000 l'anno. Fra l'altro abbiamo appurato che tra i morti ammazzati sono più numerosi gli uomini delle donne, quindi parla a vanvera chi invoca pene particolarmente severe per coloro i quali commettono femminicidio.
Certamente fa più notizia una ragazza sgozzata dopo uno stupro che non un pensionato fatto secco da un rapinatore: della prima (...)

(...) si occupano le televisioni importanti; del secondo - che finendo all'altro mondo alleggerisce il deficit dell'Inps - si cura al massimo qualche gazzetta locale, un trafiletto in cronaca e pedalare. In ogni caso, chi dipinge - lo facciamo tutti - il nostro Paese come la culla della delinquenza, altro che del diritto, sbaglia sapendo di sbagliare. Transeat.
Oggi, per completare l'opera di controinformazione, ci dedichiamo ai suicidi, di cui abbiamo esaminato le cifre finora trascurate dai giornali, impegnati come sono a dare spiegazioni sociologiche degli «insani gesti» compiuti da poveracci soccombenti nelle liti con il fisco. Anche in questo tragico campo c'è l'abitudine di raccontare frottole, ma senza l'aggravante della cattiva fede.
Secondo l'Istat, gli italiani che si sono tolti la vita nel 2012 sono stati 3.048 ovvero 5,6 ogni 100mila abitanti, media nazionale. In assoluto, sono troppi, ne conveniamo. Ma se compariamo i dati di casa nostra con quelli della Francia, dove i suicidi sono stati 11mila nello stesso periodo, dobbiamo ammettere di essere un popolo strafelice, nonostante Equitalia, la disoccupazione crescente, l'economia che langue, lo spread altalenante e la penuria di euro. Si dirà che i transalpini costituiscono un'eccezione negativa. Può darsi. Ma che dire allora dell'invidiata e stimata Germania che, grazie ad Angela Merkel, domina i mercati e fa la voce grossa in Europa? I tognini che hanno optato di affidare l'anima al barcaiolo Caronte sono stati 10mila, poco meno dei francesi e oltre tre volte i nostri compatrioti.
Nulla da obiettare? Le statistiche che riportiamo non provengono dalla mutua, ma dall'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) e dal Centro culturale Die Kulturinitiative. I tedeschi che si uccidono volontariamente superano quelli che crepano per incidenti, violenze e droghe. Si vede che non stanno meglio di noi sotto il profilo della serenità. Idem, a maggior ragione, i francesi.
Altra statistica illuminante. Rispetto agli anni Novanta, gli italiani suicidi sono calati in misura assai considerevole, passando da una media di 8,3 ogni centomila abitanti, a 5,6. Da notare che il tasso di suicidi nel mondo è salito negli ultimi 45 anni del 60 per cento. Sapete perché? Uomini e donne hanno cominciato a sopprimersi anche nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Probabilmente è il benessere che danneggia la salute mentale, non la miseria.
Nella speciale classifica internazionale di chi si è dato la morte, noi siamo al 64° posto, la Francia al 24°, la Germania al 47°. Da qui si evince che nemmeno in questa lugubre materia eccelliamo; difatti, tra i Paesi della Ue, siamo piazzati in fondo alla graduatoria. Inutile addentrarsi in complicate analisi: noi preferiamo tirare a campare in qualche modo di qua, piuttosto che trasferirci nell'aldilà con la speranza di trovarci il Paradiso. O, forse, abbiamo adottato la filosofia partenopea: piangere e fottere. A morire c'è sempre tempo. Non lo dico così per dire. In effetti, il più basso tasso di suicidi nella penisola si registra in Campania: 2,6 ogni 100 mila abitanti. Mentre in Friuli Venezia Giulia si riscontra un'impennata: 9,8; idem in Valle d'Aosta (9) e in Trentino Alto Adige (8,7). Rammento che la media nazionale è di 5,6. Nel Mezzogiorno non ci sarà lavoro, i redditi saranno da fame, si pagherà il pizzo, però non manca il buonumore che aiuta a sopportare la fatica di vivere.
C'è solo un'osservazione da aggiungere. La nostra propensione a non cedere alla depressione non è solamente caratteriale; è accertato: qui si mangia meglio che altrove, il clima è buono, non siamo ancora riusciti a distruggere l'ambiente, le case (anche le più bruttine) sono ospitali. Soprattutto, abbiamo imparato nei secoli ad arrangiarci. È un'arte che, se esercitata bene, tiene lontano dalla tomba.

segue a pagina 6

di Vittorio Feltri

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