RomaLurgenza numero uno, per il trio Abc (Alfano, Bersani e Casini) è quella di fare in fretta, e di dare un segnale allelettorato imbufalito dagli scandali prima che sia chiamato a votare alle amministrative. E prima, come dice lex ministro Frattini echeggiando le paure del Palazzo, che «la gente arrivi qui sotto coi forconi».
Lurgenza numero due è quella di dimostrare che loro, i partiti, sono in grado di fare da soli, senza necessità di tutele da parte del governo dei tecnici: Alfano e Bersani (e più cautamente Casini) si sono ritrovati una volta tanto allunisono nel reagire con silenziosa irritazione al pressing del ministro della Giustizia, Paola Severino, quando si è detta pronta ad intervenire via decreto durgenza o attraverso emendamenti ad hoc al decreto anticorruzione sul bubbone dei finanziamenti pubblici ai partiti. E si son subito dati un gran daffare, nonostante le vacanze pasquali, per dimostrare di non aver bisogno dellaiuto del governo per autoriformarsi. Di qui il tourbillon di telefonate che i tre leader hanno fatto sapere di essersi scambiati in queste ore, virilmente pronti a prendere il toro per le corna e ad attuare in tempi rapidi una riforma, al grido di «mai più casi Lusi e Belsito».
Di qui a dire che la palingenesi sta per iniziare ce ne corre, però. Oggi si riuniranno i delegati dei segretari, assieme ai tesorieri (ci saranno Crimi e Corsaro per il Pdl, Della Vedova per Fli, DAlia per lUdc, Misiani e Bressa per il Pd), per provare a mettere nero su bianco un primo testo di intesa, e ad immaginarne un iter parlamentare più rapido possibile. Nessuno tra loro, però, si aspetta dallodierno summit rivoluzioni copernicane del sistema di foraggiamento dei partiti. «Stiamo ragionando soprattutto su un punto, quello dei controlli - confida in camera caritatis uno dei cosiddetti sherpa - e realisticamente non credo che si andrà molto più in là, in questa prima fase».
Non si parlerà dunque di quantità e forma dei finanziamenti da parte dello Stato, né di struttura e regole interne ai partiti: sul tavolo ci sono le modalità di controllo dei bilanci da parte della Corte dei conti; lopportunità di farli certificare da agenzie esterne; la necessità di rendere pubblici i contributi di cittadini e società ai singoli partiti, almeno sopra una certa soglia (che oscilla tra i 1.000 e i 5.000 euro); il sistema di sanzioni per chi viene meno alle regole. Sarebbe senza dubbio un passo avanti, rispetto allattuale regime anarchico in cui clan e truffatori possono spadroneggiare, ma nulla di più. Daltronde, nonostante il comune afflato attivistico per evitare che sui loro partiti si abbatta londata della ripulsa antipolitica, Alfano e Bersani sono impegnati anche a farsi campagna elettorale luno contro laltro. E le rispettive proposte sul finanziamento pubblico lo dimostrano. Il leader Pd ha difeso a spada tratta la necessità dei contributi statali ai partiti, per «evitare plutocrazie, oligarchie e dominio», in parole povere Berlusconi (dimentico del fatto che lattuale legge sui rimborsi elettorali venne approvata nel 93, e giusto lanno dopo il Cavaliere plutocrate vinse le elezioni). E propone invece severe regole interne ai partiti: codice etico, misure disciplinari per gli iscritti che lo violano, regole severe sulle incompatibilità tra cariche diverse, e per la ripartizione delle risorse tra centro e territorio. Tutte cose che fanno venire lorticaria al Pdl. Il quale replica, con Alfano, lanciando la proposta di finanziamento su base volontaria ai partiti, attraverso il 5 per mille nella dichiarazione dei redditi: lintento è quello di costringere il Pd a dire di no, facendo bella figura a basso prezzo.
Difficile che oggi, al tavolo tecnico, si discuta di questo. Una prima riduzione dei rimborsi elettorali, fa notare Benedetto Della Vedova, sulla carta già cè: «Attraverso ripetuti tagli attuati nelle finanziarie, si è passati da 200 a 140 milioni annui circa, con una diminuzione del 30% che andrà a regime a fine legislatura». Difficile che i partiti vogliano andare molto oltre.
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