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Gli imprenditori cambino mestiere

Il nostro è un Paese nel quale il cittadino, in particolare se imprenditore, se casca nei pantani della burocrazia è destinato a soccombere

Gli imprenditori cambino mestiere

Saremmo lieti di dare ai lettori qualche buona notizia, ma il menu di giornata è pessimo e a questo dobbiamo attenerci. Due casi allarmanti: uno a Napoli, l'altro a Roma. Entrambi provocati dalla mancanza di soldi. Il Comune partenopeo - sindaco Luigi De Magistris - rischia di non avere liquidi per pagare ai dipendenti gli stipendi, il cui ammontare annuo è spaventoso: 450 milioni, pari al 53 e rotti per cento del bilancio. Sul quale bilancio, la Corte dei conti ha messo gli occhi da un pezzo, spalancandoli per lo stupore.
Che fare? Il primo cittadino sarebbe stato costretto, fin dal giorno del proprio insediamento, a procedere a un profondo risanamento. Una parola. Uno che aveva appena vinto le elezioni, promettendo miracoli come San Gennaro, non aveva animo di tagliare le spese, ciò che avrebbe fatto piangere tanta gente. De Magistris ha traccheggiato un po', quindi si è deciso a impugnare le cesoie e ha cacciato dalla mattina alla sera 56 dirigenti precari, dicendo loro: abbiate pazienza, fatemi aggiustare le cose, poi vi riassumerò. Le cose non sono state aggiustate (impossibile farlo) e i licenziati sono ancora a casa, eccetto quattro di essi che, però, lavorano gratis. Sai che soddisfazione.
De Magistris, nonostante lo sfoltimento, è stato indotto da esigenze di cassa (...)

(...) a silurare altre 350 persone: tutte maestre d'asilo. Brutta faccenda, ma inevitabile. Inutile sottolineare che l'ente minaccia di erogare solo il 50 per cento dei servizi finora considerati indispensabili. L'amministrazione è con l'acqua alla gola. Il sindaco che potrebbe fare per salvare la baracca? Ridimensionare l'impianto finanziario, adeguando le uscite (cioè riducendole) alle entrate. Facile, a parole. Difficilissimo, in pratica.
D'altronde Napoli è da decenni in una situazione disastrosa, che la crisi ha ulteriormente aggravato. Che succederà? Nessuno osa dirlo apertamente, ma sul Palazzo del Comune aleggia un fantasma chiamato default. Se a fine mese i 9.930 dipendenti (non calcolando quelli delle municipalizzate) non ricevessero lo stipendio, sarebbe una tragedia.
Tragedia che a Roma è già un fatto, almeno a giudicare dal comunicato stampa diramato ieri dalla Spa San Raffaele in cui si legge che il gruppo ha avviato le procedure di cessazione per 13 strutture sanitarie, «con la conseguente dimissione di 2.098 pazienti» e il licenziamento di 2.074 lavoratori. C'è da rabbrividire. Per quale motivo si è arrivati a tanto? La società vanterebbe un credito di 250 milioni (rette non onorate) dalla Regione Lazio, con la quale, inoltre, è in corso una causa per una somma analoga. L'azienda afferma di non avere più quattrini per il vitto, i farmaci, i salari eccetera, quindi di essere obbligata ad arrendersi.
Ci si domanda dove andranno a finire i malati. Saranno ricoverati in ospedali pubblici? Quali? Trovare un posto in 24 ore a 2.000 e passa degenti non sarà un'operazione semplice. Come mai la Regione non azzera il debito? La presidente Renata Polverini ha ricevuto una pesante eredità finanziaria: buchi da tutte le parti, specialmente nel settore sanitario, e non sa più a chi rivolgersi per recuperare quattrini.
Sta di fatto che il San Raffaele capitolino non è in grado di gestire 13 cliniche senza riscuotere il becco di un centesimo in cambio delle prestazioni offerte. Da notare che Roma è la città italiana i cui contribuenti versano la più alta addizionale Irpef per ripianare i passivi accumulati in anni di non brillante amministrazione. Piero Marrazzo, predecessore dell'attuale governatore, forse distratto da problemi extrapolitici, forse in altre faccende affaccendato, ha trascurato di contenere la spesa per la salute, che va dalla copertura dei costi degli interventi chirurgici a quella degli acquisti di supposte, creando una voragine nella contabilità.
Sennonché adesso i nodi sono venuti al pettine. E chi li scioglie? Nella presente contingenza, alla brava Polverini converrà mettersi una mano sulla coscienza e l'altra sul portafogli, altrimenti sarà un pasticcio. A meno che non abbia ragione lei quando dice, giustificandosi, che la proprietà aziendale, avendo questioni giudiziarie aperte, debba fare capo alla magistratura per sbloccare gli intoppi che impediscono il saldo delle cifre in sospeso.


La vicenda è complicata e, al di là dei dettagli tecnici, rivela il disagio di chi sia alle prese con gli uffici giudiziari e il settore pubblico in genere. Il nostro è un Paese nel quale il cittadino, in particolare se imprenditore, se casca nei pantani della burocrazia è destinato a soccombere. Fa prima a cambiare mestiere che a ottenere giustizia.

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