C'è qualcosa di più faticoso che fare l'imprenditore in questo Paese? Non bastano il ginepraio di leggi e leggine che rendono gravoso il fare impresa, gli infiniti cunicoli della burocrazia nei quali si finisce spesso per smarrirsi, la rigidità cadaverica della normativa che regola - ma sarebbe meglio dire che imbalsama - i rapporti e i contratti di lavoro. A chi fa impresa viene presentata una inesauribile lista di adempimenti, formalismi, di assunzioni di responsabilità, di irreprensibilità nei comportamenti - tutto giusto ma dove sta la reciprocità? Quando infatti è lo Stato a essere chiamato a fare la sua parte - come ad esempio a pagare i debiti che numerosissime aziende vantano nei suoi confronti - ecco che questo si defila, sconfessa ogni eticità e si trincera dietro una sorta di papale «non possumus, non debemus, non volumus» in virtù della quale si sottrae alle sue responsabilità, col risultato di innescare una rovinosa sequela di fallimenti privati a catena (oltre il 30% delle imprese che chiudono i battenti dichiarano di essere state trascinate nel baratro dall'insolvenza dello Stato o da parte di un'azienda che non li ha pagati in quanto non è stata a sua volta pagata dal settore pubblico).
Oltre 90 sono i miliardi di euro di cui lo Stato è debitore nei confronti delle imprese e che si rifiuta di pagare per ragioni che rasentano le furbizie di Bertoldo. Si tratta di crediti per lo più esigibili, che lo Stato non solo tarda a saldare ma addirittura a riconoscere, e lo fa nel più bieco cinismo, sapendo che se riconoscesse questi crediti si aprirebbe di colpo una voragine nel bilancio pubblico, che in un baleno franerebbero le fragili impalcature con cui si è tentato di costruire un pareggio di bilancio che ci mettesse in regola agli occhi diffidenti dell'Europa. Ma a questi 90 miliardi di euro vanno aggiunti tutti quei miliardi dovuti a coloro che da anni attendono rimborsi Iva e fiscali in genere, conteggiando i quali lo Stato sarebbe probabilmente già fallito. Insomma, quando lo Stato reclama, vuole essere pagato all'istante (altrimenti scattano more, penali e quant'altro che spesso raddoppiano l'importo dovuto in origine, quando addirittura non vengono attuati pignoramenti e sequestri). Quando è invece il cittadino a rivestire i panni del creditore, la parola d'ordine dello Stato diventa subito «a pagare e a morire c'è sempre tempo».
*editore
di Gianluca Barbera*
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