D a «il governo Letta è l'ultima spiaggia, sono ottimista» dei primi giorni, a «Quante porcate! Il nostro Paese non merita questo destino!» detto all'assemblea dei giovani di Confindustria a ottobre, mentre al Senato prendeva forma la legge di Stabilità, una «porcata», appunto, secondo il presidente di Confindustria. Giorgio Squinzi è un chimico (guida il colosso Mapei, fondata dal padre) che ama le formule semplici, un linguaggio lontano dalle fumisterie della politica: definì una «boiata» la riforma Fornero del lavoro, diede l'insufficienza al governo Monti quando Monti era osannato da tutti (e il Prof rispose che Squinzi con quelle critiche aumentava lo spread). In entrambi i casi ci aveva preso.
Spesso però, per via della schiettezza, è costretto a smussare, a precisare, come fece quando i ministri Franceschini e Delrio giudicarono irrispettoso per le Camere il suo giudizio sulla Finanziaria («Le mie parole sono state male interpretate dai media»), o come l'altro giorno, quando dopo aver detto di comprendere il malessere dietro la protesta dei forconi («è ampiamente giustificato»), salvo poi doversi rapidamente adeguare all'etichetta istituzionale («ma la protesta violenta va condannata fermamente»), ma prendendosi lo stesso la bacchettata di Letta: «Squinzi ha esagerato».
Perciò, richiesto un suo parere sulla legge di Stabilità, il presidente di Confindustria si è trincerato dietro un no comment. Preceduto, però, da una premessa che si commenta da sé: «Abbiamo indicato chiaramente che dalla riforma ci aspettavamo che fosse prioritario un intervento forte e serio sul cuneo del costo del lavoro. Ma per un intervento serio servivano 20 miliardi, ne avevamo chiesti 10, ora parliamo di 1,6: non faccio commenti». Insomma, porcata era e porcata e rimasta, anche se non sta bene dirlo, specie se si è presidenti di Confindustria. L'alternativa è farlo dire al Sole24Ore, quotidiano degli industriali, e così è andata, con un editoriale durissimo del direttore Roberto Napoletano, che dà voce a tutta la delusione di Squinzi e di Confindustria per la legge più importante del governo Letta, la Finanziaria. La linea è stata condivisa all'unanimità all'ultimo direttivo di Confindustria, che ha dato pieno mandato - presente anche i vertici del Sole24Ore - a Squinzi sulla bocciatura su tutta la linea della legge di Stabilità.
Il primo imputato, ovviamente, è Enrico Letta, ma subito dopo Saccomanni, ministro dell'Economia con cui Squinzi non ha mai trovato un vero dialogo («Io stimo moltissimo Saccomanni, ma la luce non la vedo» lo fulminò il presidente di Confindustria quando il ministro disse di vedere un trimestre di «luce» per l'economia nazionale). A lui, subito dopo Letta, è indirizzato l'amaro editoriale di Napoletano (titolo: «L'impegno tradito di Letta»): «Spiace, davvero, essere costretti a constatare che questa legge di Stabilità senza regia (avviso di chiamata mai pervenuto al ministro Saccomanni) e figlia non si sa di chi, finisca con il tradire pesantemente l'interesse generale», scrive il direttore del quotidiano di Confindustria. Il fondo è il seguito di un precedente editoriale (il 24 novembre), una lettera aperta al premier («presidente Letta, ascolti il Paese») con le condizioni di Confindustria per una manovra di rilancio e non solo di sopravvivenza. Due su tutte: «subito un intervento di riduzione dei prelievi fiscali e contributivi su imprese e lavoro - scriveva un mese fa il direttore del Sole24Ore, mettendo nero su bianco il pensiero degli industriali - e, cosa ancora più importante, una disposizione che sancisca la nascita di un meccanismo automatico per cui tutte le risorse provenienti dalla spending review e dall'azione di contrasto dell'evasione vengano integralmente destinate alla riduzione del cuneo fiscale». Dopo un mese, con la legge di Stabilità passata al Senato e a breve alla Camera, non c'è nulla di tutto ciò. «Non c'è il tracciato di un percorso credibile», si legge nell'editoriale che chiude la brevissima luna di miele Confindustria-Letta. Il peccato originale è il bluff sul taglio del cuneo fiscale. Gli industriali chiedevano almeno 10 miliardi per dare ossigeno alla ripresa, il governo non ne ha trovati neppure 2. Non solo.
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