RomaStoccate a Bersani e a Berlusconi, a Monti e a Grasso. Con uno stile molto più aggressivo del procuratore nazionale antimafia Antonio Ingroia lancia la sua candidatura a premier, attaccando tutti e presentandosi come l'unico vero campione dell'Antimafia e della lotta alla corruzione. L'uomo della «rivoluzione civile» e della questione morale.
Il movimento degli Arancioni che sostiene l'ex procuratore aggiunto di Palermo (in aspettativa, per ora non si dimette), è il partito giudiziario dei pm, inventato dall'ex pm magistrato Luigi De Magistris e sostenuto dalla vecchia star di Mani Pulite Antonio Di Pietro, oltre che da Prc e Pdci. È di sinistra, ma contro il Pd e soprattutto contro quel Piero Grasso che rischia di rubare la scena a Ingroia nel suo stesso campo. Per questo il concorrente-premier reagisce rabbiosamente alla candidatura del superprocuratore e cerca subito di demolire lui e il segretario democrat.
«È stato un errore di Bersani - accusa - candidare Grasso. Nel maggio del 2012 voleva dare un premio a Berlusconi per meriti nella lotta alla mafia. È diventato procuratore antimafia grazie ad una legge approvata sempre da Berlusconi, che ha escluso la candidatura di Gian Carlo Caselli, colpevole di aver fatti i processi sul rapporto mafia-politica».
Il simbolo elettorale è tutto attorno al nome di Ingroia, che spicca nel tondo arancione con la scritta «Rivoluzione civile» e sotto il profilo stilizzato del Quarto Stato di Pelizza da Volpedo (fioccano le accuse di plagio dal Psi e dall'ex sindaco di Lucca). Lo slogan è «Io ci sto».
L'incontro con la stampa è per Ingroia l'occasione di una resa dei conti. Con il suo vecchio capo alla Procura di Palermo c'è una vecchia ruggine, fin dall'inizio del 2000 quando scorrevano fiumi di veleno tra «grassiani» e «caselliani» sul metodo delle indagini di mafia e in particolare su quella di Salvatore Cuffaro. Nelle intercettazioni palermitane che hanno coinvolto il Quirinale sulla trattativa Stato-mafia è emerso che Grasso rifiutò di avocare a sé l'indagine, ma Ingroia sembra non apprezzare. Prevale l'astio per il superprocuratore, che il giorno prima l'ha definito «valoroso» magistrato. E naturalmente colpisce anche Bersani, reo di avergli preferito Grasso come simbolo dell'Antimafia.
«Ha ignorato il mio appello. Lo abbiamo cercato, non certo perché abbiamo bisogno di lui e abbiamo ricevuto risposte stravaganti. Evidentemente si sente il Padreterno, mentre Falcone e Borsellino mi rispondevano al primo squillo. Bersani in ogni caso una risposta politica l'ha data: non vuole una politica antimafia nuova e rivoluzionaria che sarebbe in grado di eliminare la criminalità». Per Ingroia il leader Pd ha smarrito la strada, ha dimenticato la tradizione di Pio La Torre e Berlinguer, mentre la sua lista candida proprio il figlio di La Torre. En passant il magistrato aggiunge di cercare comunque il confronto con il Pd in chiave antimontiana, ma mentre ringrazia per la disponibilità Nichi Vendola e apre la porta a Beppe Grillo (che subito l'invita a richiuderla), scambia con un lapsus Berlusconi e Bersani. Per lui pari sono. Nemici. Come Monti. «Siamo noi il vero voto utile - dice- per cambiare il Paese, non il Pd». Ingroia aggiunge, a conferma che le sue indagini sono il vero trampolino di lancio per la politica, che da eletto si occuperà della trattativa Stato-mafia: «È stata sbarrata in sede politica la strada per la verità in un momento buio della storia italiana».
Dal Pd Arlacchi commenta: «Fa la vittima politica e prepara la difesa del flop della sua inchiesta».
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