Cronache

Iniziamo dalla fine L'ammazzacaffè conquista il mondo

I liquori made in Italy che chiudevano il pasto da noi  sono bollati come démodé. Ma all'estero vanno forte

Iniziamo dalla fine L'ammazzacaffè conquista il mondo

La patria del caffè non poteva non essere anche la patria dell'ammazzacaffè. Perché i liquori italiani sono l'ennesima scheggia del made in Italy alla conquista del mondo. Perché quello che da noi è a volte considerato impolverato e provinciale, all'estero spacca.
Tutto parte dalla provincia Usa, in genere più impermeabile della sofisticata New York e della globalissima California alla seduzione della Vecchia Europa, che molti nemmeno saprebbero individuare in un planisfero. Eppure qui tra i giovani spopola il Fernet Branca, italianissimo digestivo prodotto dal 1845 in base a una ricetta segreta che lo rende globale già nelle origini: tra le 27 erbe che lo compongono ci sono infatti l'Aloe sudafricano, il rabarbaro cinese, la Galanga indiana, la genziana francese, la camomilla argentina, oltre a ingredienti più domestici. Ma tutto questo ai giovani a stelle e strisce importa poco. Molti di loro non sanno nemmeno che con l'Hanky Panky, con il Dirt'n'Diesel e con l'Benton Park Swizzle (tutti cocktail a base di Fernet) si bevono un sorso d'Italia. Dove il Fernet Branca è addirittura un mito è in Argentina: qui è considerato una vera bevanda nazionale, la seconda più venduta dopo la birra Quilmes (che argentina lo è davvero), protagonista del Fernandito: una parte di Fernet e quattro di cola. Un long drink molto pop(olare) che ha fatto uno strano viaggio di andata-e-ritorno trovando una sua nicchia di estimatori anche in Italia. Un amore talmente intenso, quello del Paese sudamericano per il liquore milanese, che anni fa, in piena crisi dell'economia platense, l'azienda si inventò un'etichetta di secondo prezzo, il Fernet Vittone.
Molto più glam il blasone dell'Amaretto di Saronno, talmente up-to-date da modificare il brad in Disaronno. Un liquore che dall'atmosfera fin de siècle è approdato ai party hollywoodiani e vanta fan come Eva Longoria e Mariah Caray. E sì che il sapore vallutato ma dolce non sembrerebbe in linea con lo Zeitgeist del gusto, che privilegia al momento nelle bevande l'estrema secchezza. Ma il fascino italico trasforma l'handicap in un pregio. Il resto lo fa la facilità con cui l'Amaretto si sposa con altri ingredienti, la cosiddetta mixability. Insomma, un liquore social.
E poi c'è il Cynar. Amaro anni Settanta con tredici ingredienti tra cui il poco modaiolo carciofo, che però si sposa benissimo con la cola. Negli Usa i bartender si sfidano a creare cocktail con l'aromatica e bruna bevanda italica: tra i più amati l'Eyeore's Requiem, vero concentrato di italianità visto che oltre al gin richiede Cynar, Fernet e Campari. E poi c'è lo Strega: liquore beneventano giallissimo di zafferano, che con il suo abito vintage non poteva non fare presa sugli amanti dell'italiantià all'estero. Anche in questo caso alle versioni liscia o on the rocks si affiancano fantasiosi cocktail come The Bruja Smash (bruja è la strega in spagnolo) o l'Acapulco#3, con bianco d'uovo, Tequila e succo di limone.
E a proposito di limone, un liquore italiano debrandizzato ma molto popolare all'estero è il Limoncello. Di cui gli americani (ma non solo) amano proprio la versione casalinga: in rete ci sono tante ricette in inglese per produrre at home il proprio digestivo agrumato. Del Limoncello si apprezza anche la capacità di miscelarsi al Gin, il liquore del Terzo Millennio. Infine gli amari: dall'esportatissimo Ramazzotti fino ai più vernacolari Ciociaro (dal Lazio) o del Capo (calabrese), in rete è pieno di vademecum che insegnano agli americani come bere questi strani ma affascinanti concentrati di aromi.

Italiani.

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