RomaMonti vuole accorciare il filo delle telefonate e, inevitabilmente, scoppia la polemica. Ad anticipare la volontà di dare un taglio all'abuso delle intercettazioni telefoniche da parte delle Procure è lo stesso premier nell'intervista a Tempi: «È grave il caso delle telefonate del capo dello Stato intercettate dalla procura palermitana», dice il Professore. Che poi ammette: «È peraltro evidente a tutti che nel fenomeno delle intercettazioni telefoniche si sono verificati e si verificano abusi, per cui è compito del governo prendere iniziative a riguardo».
È ovvio che il caso tra la procura di Palermo e il Quirinale - che ha pure sollevato il conflitto di attribuzione - abbia accelerato la questione. Determinante la vicenda del consigliere del Colle, Loris D'Ambrosio, stroncato da un infarto perché le sue telefonate, nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, sono finite sui giornali. Da qui la convinzione, da parte delle più alte cariche dello Stato, che i sospetti gettati su D'Ambrosio abbiano portato alla morte del servitore dello Stato e dalla necessaria revisione dell'intera materia degli ascolti.
Il «file» è da tempo sul tavolo del ministro della Giustizia, Paola Severino; ma per opportunità politica lì è rimasto. Ovviamente il Pdl gongola all'idea di metter mano a una legge toccando la quale si resta fulminati. «Se c'è la volontà politica basta un mese per avere una buona legge sulle intercettazioni che eviti gli abusi nella captazione e nella divulgazione che quotidianamente si verificano», dice infatti Enrico Costa, capogruppo Pdl in commissione Giustizia alla Camera e relatore del ddl intercettazioni. Viceversa, sinistra, magistratura e sindacati dei giornalisti già gridano al bavaglio. Belisario, dell'Idv, va a testa bassa: «Monti è stato chiamato per gestire l'emergenza. Lo sta facendo, anche se molto male, ma lasci stare tutto il resto - intima - Ricordi di non essere stato eletto dal popolo ma nominato dall'alto e non pensi di essere un moderno caudillo». Di Pietro, invece, attacca il Colle: «Gravi non sono le intercettazioni su Napolitano, che in realtà non sono mai state disposte, bensì il fatto che il cittadino Nicola Mancino, ex presidente del Senato, abbia chiamato il capo dello Stato per chiedere un intervento sui giudici siciliani che stavano valutando la sua posizione processuale» sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
Ascia di guerra anche per Roberto Natale, presidente della Fnsi, sindacato dei giornalisti: «La specifica vicenda delle intercettazioni che hanno coinvolto il presidente della Repubblica non può essere usata come pretesto per varare una legge che restringa gli spazi della cronaca giudiziaria. È bene ricordarlo al presidente del Consiglio, ora che anche la sua voce si unisce alla campagna contro le intercettazioni».
Ma il dito nella piaga la mette il braccio destro di Casini, Roberto Rao: «Sul tappeto ci sono quattro questioni (anticorruzione, intercettazioni, responsabilità civile dei magistrati ed emergenza carceri) che affidate solo alla dialettica dei partiti rischiano di veder prevalere le ragioni delle divisioni pregiudiziali su quelle dell'interesse del cittadino utente».
La questione in campo è infatti nota: il Pdl spinge sull'acceleratore delle intercettazioni e della responsabilità civile dei magistrati; il Pd, invece, preme sul ddl anticorruzione. E il governo? Di recente proprio il Guardasigilli aveva legato i due provvedimenti dichiarando che «Se l'anti-corruzione non accelera il suo iter, le intercettazioni restano ferme dove sono». Altra battaglia è nel merito. Il Pdl vorrebbe ripartire dal testo Buongiorno-Alfano che poi si era arenato. Il Pd preferirebbe invece che il governo scrivesse un testo ex novo per cancellare alcune norme indesiderate.
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