"Io, cuoco pop, vi spiego come cucinare col cuore"

Davide Oldani, ex allievo di Gualtiero Marchesi, svela in un libro tutti i suoi segreti: "Bisogna sempre avere un sogno nel cassetto"

Da bambino voleva fare il calciatore, era il suo sogno e l'aveva quasi realizzato. Poi qualcosa è andato storto e ha dovuto cambiare strada. «Per questo bisogna sempre avere nel cassetto un sogno di scorta, e uno da vivere», parola di Davide Oldani, che è diventato lo chef stellato che oggi tutti conoscono proprio seguendo con tenacia il suo secondo sogno.
Ex «discepolo» di maestri come Gualtiero Marchesi, Albert Roux, Alain Ducasse e Pierre Hermé, dopo aver girato le cucine di mezzo mondo, 9 anni fa è tornato nella sua Cornaredo per aprire il D'O, ristorante «cult» famoso per aver reso democratica l'alta cucina, dove le liste d'attesa sfiorano i 12 mesi. Qui continua a vivere secondo una personalissima filosofia, che racconta nel suo quarto libro: «Il giusto e il gusto. L'arte della cucina pop» (Feltrinelli).
Un libro appassionante sull'etica e sull'evoluzione della cucina pop. Ma anche «il riassunto di quel che sto vivendo: per sentirmi uno - e non nessuno o centomila - ho dovuto appassionarmi a quello che facevo, essere sempre presente. E così vorrei che fosse sempre la mia vita. Sul pezzo». Ma intanto, senza false modestie, si definisce un «cuoco pop».
Davide Oldani, chi è il cuoco pop?
«È uno come me: pop in tutto, nella cucina e nella testa. Uno che fa da mangiare con il cuore e con il buon senso, non tanto per farlo».
Ci spiega anche il concetto di cucina pop?
«Cucina pop significa rispetto per gli ingredienti, per le stagioni, per i fornitori, per i collaboratori, per i maestri. E soprattutto per gli ospiti. Il prezzo accessibile, altro aspetto fondamentale, è dettato dalla stagionalità e territorialità della materia prima, che è sempre freschissima e di altissima qualità. L'accessibilità è la cosa più importante perché permette che ci sia un giro di lavoro continuo, che consente a sua volta di sperimentare e provare nuovi prodotti. E di fare».
È vero che il prezzo del suo "menù pop" corrisponde al prezzo del libro?
«Il menù pop è la cosa che più mi rende orgoglioso. Credo che cibo e cultura contribuiscano al benessere allo stesso modo. Il mio menu pop (dal martedì al venerdì a pranzo il menù pop costa 11,50 euro, per il resto c'è il menù degustazione ndr) permette a chiunque di venire al D'O, e assaggiare la cucina pop. Per il libro è lo stesso: può essere letto da chiunque voglia vivere con buon senso».
Nel libro la cucina è descritta spesso come una metafora della vita: ci fa un esempio?
«Ho sostituito il "quanto basta", che è un metodo approssimativo, con il "buon senso", che invece ti aiuta a mettere nel piatto, oltre alla manualità, anche il cuore. Come nella vita, si deve assaggiare finché i piatto non è perfetto, aggiungendo sale pian piano».
Ma lei è uno chef filosofo…
«No… prendo solo appunti su ciò che vivo ogni giorno. La mia è una filosofia che viene dalla pratica, semmai…».
Anche i valori per lei sono fondamentali: perché mette il lavoro al primo posto?
«Dato che si passano i due terzi della vita a lavorare, il lavoro dovrebbe diventare il compagno di viaggio della vita. Se affrontato con passione, voglia di fare, e curiosità, poi, può anche rendere più "morbida" la vita privata».
È vero che ha portato competizione e gioco di squadra in cucina?
«Certo, nella mia cucina si lavora con competizione, ma si deve gareggiare in modo puro, per il successo della squadra. In cucina come nel calcio si gioca in tanti, e chi ha talento emerge aiutando gli altri, è un fuoriclasse, come Messi al Barcellona: in squadra son tutti bravi, ma il campione è lui. Il rispetto per il maestro però è fondamentale. Il maestro devi portarlo nel cuore perché se fai bene il tuo lavoro, è anche merito è suo».
Come ha fatto a diventare anche un designer?
«Quando ho aperto ristorante volevo che il contenitore valorizzasse al massimo il contenuto. E volevo semplificare il servizio rendendolo elegante al tempo stesso.

Un esempio? Le sedie: mi è bastato guardare le persone che vengono a mangiare al D'O per disegnarle così, con le tasche e l'appendiabiti, perché penso si mangi meglio se alleggeriti di fastidiosi ingombri».
Perché rimane a Cornaredo?
«Per il concetto di cucina circolare: sono partito da un luogo e ho voluto ritornare nello stesso luogo. Per ritrovare le mie origini. E la mia terra».

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