«Io stupratore non dovevo essere liberato»

MilanoSta ancora lottando contro i suoi «mostri». Impulsi e fantasie Luca li chiama così, sicuro che non lo lasceranno mai in pace. Lui a 31 anni può solo imparare a conviverci. Quando era in carcere ha chiesto che gli fosse applicata la castrazione chimica, e anche oggi lo confessa: non ha la certezza che non tornerà a fare del male. Può solo lottare, sperando che «i mostri» non tornino ad avere la meglio. Come in quei terribili mesi, quando ha scatenato tutto il suo odio contro sei donne, a Milano. Violenze, rapine, un sequestro di persona.
Che cosa vedevi in quelle donne?
«In ognuna di loro c’era qualcosa di me. Le sceglievo perché mi sembravano delle vittime della vita, come mi sentivo io. Avvicinavo quelle che potessero essere delle facili prede, di solito sui mezzi pubblici».
Cos’era a spingerti, il desiderio?
«Non escludo l’aspetto sessuale, ma non era un bisogno fisico. Io ero anche fidanzato. Ma quello era il mio modo per scaricare odio. Fantasie diventate ossessioni. Potevo dare delle testate al muro, quelle cose invece mi davano anche piacere. Ma anche nelle rapine... anche lì erano le donne l’oggetto del mio odio».
Cosa pensi ora di quelle donne a cui hai fatto del male?
«È difficile, non posso descriverlo. Le belle parole non servono, il “mi dispiace” non serve. So che c’è qualcosa che mi costringe a lottare contro quei mostri a viso aperto».
Lo stai facendo?
«Ho un debito. Sono stato più di tre anni in carcere, prima San Vittore poi Bollate, dove i detenuti come me sono sottoposti a un trattamento volontario. Poi sono uscito con l’indulto, ma troppo presto. Troppe cose erano cambiate».
Ti sei sentito rifiutato?
«Non mi sento di giudicare gli altri, non posso dare la colpa alla società. Ora sto lavorando su di me. Sto cercando di scavare il mio angolino».
Il trattamento in cosa ti ha cambiato?
«Quella firma ti responsabilizza. Ti chiedono “vuoi farlo o no?” È così da quando sono uscito. Ogni volta che scopro un pezzo del mio reato e ne parlo con gli altri divento più forte. Ora so che c’è qualcuno da chiamare quando tornano certe fantasie. So che posso raccontarle. Le abbiamo quasi messe in scena».
Prima negavi quello che avevi fatto?
«È un meccanismo automatico, la vergogna, la paura di quel che può pensare chi ti sta davanti. Parlare di quel che hai fatto ti espone alle discriminazioni. È come mettersi a nudo».
Oggi vi chiamano «sex offenders»...
«Non sono d’accordo, mi sembra che deresponsabilizzi le persone. Forse è difficile parlare di sesso. Quel che ci rovina è il senso del possesso. La mia fantasia era di possesso e umiliazione».
Potresti fare a meno dell’équipe che ti segue per conto del servizio comunale?
«A volte me lo chiedo, poi mi domando: se non vado cosa può succedere? Mi sento come un bambino che impara ad aver bisogno dei genitori. Posso permettermi che gli altri mi abbandonino? È questa la domanda che mi faccio oggi».
Hai una donna ora?
«Ho dei rapporti, ma niente di stabile. È difficile aprirsi. Credo che dovrei raccontarle tutto. Ma deve essere la persona giusta. È anche una questione di tempo, ma soprattutto di fiducia».
Quali sono oggi i tuoi sentimenti per le donne?
«Non le odio a priori come prima. Io credo che fantasie e desideri non debbano essere cancellati. Però se io so che la fantasia mi porta a fare del male devo stare attento. Io le fantasie non posso dire di controllarle».
Sei sicuro che non tornerai a fare quel che hai fatto?
«Non ho la certezza. Sarebbe pericoloso avere la certezza che non farò più quel che ho fatto. Se avessi la fantasia di assalire qualcuno e la certezza che non succederà... mi troverei fuori di casa con il passamontagna, e magari direi a me stesso che lo faccio per il freddo».
Cosa provi quando leggi o senti di qualche stupro?
«Sento qualcosa che nasce dentro, qualcosa che mi tocca in quel dramma. Se vedo un film so che non è una cosa reale, e a volte suscita delle fantasie, e non le trovo sempre sgradevoli, lo devo ammettere. Le fantasie ci sono ancora, devo sorvegliarle».
E che ne pensi della cosiddetta castrazione chimica?
«Io l’ho chiesta quando ero in carcere. Mi hanno risposto che non me l’avrebbero fatto perché la legge italiana non lo prevede.

Era il momento dei sensi di colpa. Non volevo più uscire, o uscire il più tardi possibile. Ho provato ad uccidermi tagliandomi le vene. Ora penso che le medicine possono toglierti gli impulsi sessuali, ma l’odio? Quello come lo posso eliminare?».

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