Caro direttore, perdonami se ti chiedo spazio sul Giornale in deroga, per una volta, dai miei articoli di cronaca giudiziaria. Ti chiedo scusa due volte perché, forse, queste righe avrei dovuto scriverle tanto tempo fa quando la categoria di cui facciamo parte ha iniziato a mettere i buoni di là e i cattivi di qua. Per cultura, per educazione, perché ho respirato fin da bambino l’aria buona dei giornali e dei giornalisti di un tempo, ho sempre evitato di prendermela coi colleghi di altre testate, pubblicare le loro intercettazioni (e sai quante ce ne sono, ad esempio, con colleghe che fanno sesso al telefono con i loro informatori), infierire sulle singole disgrazie professionali, sui rapporti «oscuri» - direbbero lorsignori - con le proprie fonti. Se mi è capitato di scrivere di un collega, come per una vicenda minore che riguardava il bravo Marco Lillo del Fatto , l’ho prima chiamato,mi sono fatto dare la sua versione, e poi ho scritto.
Mi sono sempre rifiutato, e la finisco qui, anche di rivelare in redazione retroscena utili a chi si cimentava su questo o quel collega, che so, di Repubblica piuttosto che de l’Unità . E sai perché? Perché non faccio finta di non sapere come funziona questo mestiere. Dei rischi a cui vanno incontro tutti: sia quelli, per dire, che hanno libero accesso alle stanze dei pubblici ministeri, sia a quelli che trovano sempre le porte chiuse e ne cercano, altrove, qualcuna aperta. Tutto ciò per venire al sottoscritto, e al Giornale , oggetto in questi giorni di velenosi attacchi da parte di taluni «colleghi ». Parlo della questione P4. Parlo soprattutto della mia frequentazione professionale con una fonte (Luigi Bisignani) che in tanti si sarebbero sognati di avere, e che più di altre fonti - almeno sulla carta poteva essere utile al mio lavoro, come peraltro la pubblicazione di intere paginate di intercettazioni sulla sua rete di conoscenze ha ampiamente dimostrato.
Parlo dei miei tentativi, quasi sempre andati a vuoto, spesso portati avanti sul filo della millanteria per accreditarmi al suo cospetto, di carpire notizie utili su questo o quell’argomento con colui che oggi tante persone (e quanti importanti giornalisti!) fanno vergognosamente a gara a non conoscere. Ho sempre messo al corrente te, direttore, dei miei incontri con Bisignani. Così come ne erano a conoscenza svariati colleghi di testate molto lontane dalla nostra - che ora non nomino ma che non hanno problemi a confermarlo - coi quali ho spesso cercato di far quadrare i brandelli di notizie che il lobbista mi dava. «Vai dall’amico tuo e cerca di capire se almeno lui ne sa qualcosa » dicevano sornioni. Proprio così. Bisignani era una sorta di ultima spiaggia piena di bagnanti eccellenti che facevano la fila per incontrarlo. Ed è vero che era depositario di un’infinità di informazioni, ma almeno con me, parlava tanto e, stringi stringi, spifferava poco. Perché? Leggendo le carte verrebbe da pensare, ma forse mi sbaglio, che un po’ mi riteneva responsabile del casino politico che avevo combinato con l’inchiesta su Fini e la casa di Montecarlo che lui stesso, a un certo punto, mi chiese (invano) di interrompere.
Bisignani si comportava amichevolmente con me, ma era soprattutto amico intimo di Italo Bocchino, parlava male del Giornale («Sono dei pazzi») e bene con chi criticava Berlusconi e il Giornale stesso. Poi, però, leggi la stampa libera e ti accorgi che dietro al Giornale , come dietro a Dagospia , c’era lo zampino maledetto di «Bisi». No, direttore, non è così. Da parte nostra c’è sempre stato l’interesse per la notizia, che non è buona o cattiva a seconda delle convenienze o della provenienza. Una notizia, che te la serva il Papa (nel senso di Santo Padre non di Alfonso, l’onorevole indagato) o Totò Riina, se vera e riscontrata, io la scrivo.
Non la pensa così, evidentemente, un giornalista di Repubblica : Carlo Bonini ( nella foto piccola ) letteralmente ossessionato dal sottoscritto. Un tempo godeva delle luci della ribalta finché campava della luce riflessa di Giuseppe D’Avanzo da cui ha divorziato quando pure il vicedirettore coi baffi, evidentemente, s’è stufato del suo modo di fare. Un esempio di alto giornalismo, quello di Carlo, fatto di bacchettate ai colleghi (anche di scrivania incappati in incidenti di percorso), di fonti e di notizie sempre belle e pulite, le sue. Ecco, questo Pulitzer de noantri che quando si appassionò a Telekom Serbia trattò la materia come uno scoop mondiale, e quando la approfondimmo noi del Giornale ( subendo durissimi interrogatori e perquisizioni devastanti) paventò depistaggi e trame oscure, ha scritto di me ciò che tutti gli altri colleghi, per insussistenza della notizia, hanno evitato di riportare. Ieri, lo stesso scriba che fu intercettato indirettamente perché mandava avanti una giovane collega a parlare col giudice indagato Achille Toro, ha colpito ancora.
Non gli sembrava vero d’avermi trovato ancora nelle carte. Così ha riportato un verbale depositato dal pm Woodcock del «cattivo » Giuliano Tavaroli della security di Telecom, nel quale si dice che lui, Tavaroli, sapeva che io conoscevo Bisignani. Chapeau . Tante volte non lo sapesse, a proposito di Tavaroli, la sua «ossessione» al Giornale ha rifiutato consulenze da decine di migliaia di euro, per improbabili studi su scenari geopolitici, che Tavaroli gli propose per interposta persona (e che il sottoscritto sdegnatamente rifiutò). Se davvero fossimo un ingranaggio di questa fantomatica macchina del fango, che Bonini e altri come lui continuano a descrivere, chissà quante ne avremmo pubblicate. Ricordi, direttore, quando qualche mese fa intervistai Licio Gelli sulla vicenda dei piccoli azionisti dell’Ambrosiano (conversazione registrata) con quei dettagli indimostrabili su Gianfranco Fini, riferiti dal Maestro Venerabile, circa presunte «donazioni » al Msi? Decidemmo di cestinare il tutto, senza indugi.
E della macchina del fango contro la Boccassini ne vogliamo parlare? Non sarebbe stato più clamoroso, anziché occuparci del figlio coinvolto in una rissa a Ischia, pubblicare gli atti di tribunale e i documenti antimafia sui gravi guai giudiziari del padre e dello zio di Ilda, entrambi magistrati? Per civiltà giuridica, oltre che professionale, ce ne siamo astenuti convinti come siamo che le colpe di padri e parenti non possano ricadere su figli e nipoti. A Repubblica si sarebbero comportati così? E come si comporteranno i cronisti che oggi si scandalizzano della presunta ossequiosità di certa stampa a Bisignani quando da Caltanissetta usciranno, se usciranno, le tanto temute intercettazioni sui rapporti confidenziali e vacanzieri di stimati giornalisti con tal Massimo Ciancimino? E poi, direttore, come non tornare sulla nostra innocua telefonata effettuata da un phone center romano - che tutti hanno potuto leggere - e che i magistrati di Napoli incredibilmente definiscono di «straordinaria gravità».
Marco Travaglio ha giustamente ironizzato (ho riso anch’io quando ho letto il suo pezzo) sulla sfiga di aver usato un centralino per immigrati sotto intercettazione per roba di droga. La spalla di Santoro si è poi divertita a scrivere che a forza di pensare che siamo tutti intercettati alla fine ci crediamo davvero. Forse Travaglio non lo sa ma il sottoscritto, purtroppo, sotto intercettazione c’è stato per anni in numerose inchieste, è stato ripetutamente inquisito e perquisito solo per aver dato notizie. Non ricordo che altrettanto sia capitato a Marco, segno che la fortuna gli sorride e che solo per colpa di Peppe D’Avanzo son saltate fuori le sue frequentazioni estive con una persona condannata per mafia che tanto lo mandano in bestia quando qualcuno glielo ricorda. Va bene tutto.
L’ironia. Lo scherno. L’attacco ai servi del premier. Ma quanto all’insinuazione che per una banale chiamata al direttore il mio agire possa essere accomunato a quello di un apprendista spione al servizio di poteri occulti, beh, è troppo.
Ecco perché Travaglio ne risponderà direttamente all’ordine professionale e in tribunale dove spero, per lui, si faccia difendere da un valente avvocato del Fatto Quotidiano : Martino Umberto Chiocci. Mio zio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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