Italia presidenzialista (ma a sua insaputa)

Altro che dimissioni, Napolitano non molla l'osso e dimostra che il presidenzialismo esiste già

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Altro che dimettersi in an­ticipo sulla scadenza del mandato: Giorgio Napo­litano non mollerà l’osso sino al 15 aprile, quando comince­ra­nno i traffici per la sua succes­sione, dopo sette anni tribolati durante i quali egli ha fatto di tutto per dimostrare che la Re­pubblica presidenziale non so­lo è necessaria, ma esiste già. Bi­sogna unicamente renderla uf­ficiale modificando la Costituzione e di conseguenza la legge elettorale.
Facile a dirsi. Ma in Italia finché si tratta di parlare, e anche di agire sotto banco, non ci sono problemi. Se, inve­ce, c’è da mettere mano alla Carta, si salvi chi può. Le leggi fondamentali, scolpite nel marmo della retorica dai becchini del fascismo, sono considera­te intoccabili quanto quelle mosaiche: vengono dall’alto ed è un sacrilegio vio­larle. Va da sé, siamo inchiodati ai no­stri pregiudizi e non riusciamo a libe­rarcene.
La sinistra poi ha sacralizzato la Co­stituzione e se ne è impadronita: sola­mente i compagni hanno il diritto di peggiorarla, come è accaduto con la ri­forma maledetta del cosiddetto Titolo V, causa di inestimabili disastri. Ci vole­va un ex comunista al Quirinale per in­frangere il tabù: la Repubblica presi­denziale è entrata dalla finestra e non uscirà più dal Palazzo. Occorrerà pren­derne atto. Chiudere gli occhi sulla re­altà creata da Napolitano sarebbe una forma di autolesionismo oltre che di ipocrisia.
Sia il popolo a eleggere il capo dello Stato che non è più, come in origine, un grigio e silenzioso notaio che si limi­ta a registrare gli atti. Oggi, li determi­na. È lui il progettista ed è lui il direttore dei lavori. È così da tempo, ma in que­sti giorni ne abbiamo avuto conferma talmente clamorosa da fugare ogni dubbio: il ruolo di deus ex machina spetta al presidente perché di fatto lo ri­copre già con naturalezza e senza su­scitare proteste. Un ruolo che Napolita­no ha interpretato, al di là dei risultati pratici, con disinvoltura. Merita sotto­linearlo. Altri al suo posto avrebbero consentito a Pier Luigi Bersani, vincito­re formale delle elezioni parlamenta­ri, ma impossibilitato a formare una maggioranza in grado di esprimere un governo duraturo, di reiterare i tentati­vi per rubacchiare voti a destra e a man­ca e avviare la legislatura con un esecu­tivo raccogliticcio.
Viceversa lui, il vecchio migliorista, benché in procinto di abbandonare il Colle, ha tenuto duro: caro segretario del Pd, o hai i numeri per sostenere il tuo esecutivo (e non li hai) oppure cer­chiamo una soluzione diversa. Questa volta ha prevalso la logica, la ragione semplice e fredda dell’aritmetica.Ber­sani si è dunque eclissato. Napolitano ha preso il comando delle operazioni. Non sappiamo se egli arriverà o no in porto con i suoi saggi. Ma almeno pos­siamo nutrire la speranza che la sua scelta non sia un imbroglio per permet­tere al Pd di giocare sporco nell’elezio­ne del prossimo inquilino del Quirina­le, e lasciare il torrone nelle grinfie di Mario Monti, dimissionario che resta in carica sine die , magari un anno, fin­ché le Camere non abbiano varato, con la complicità dei grillini, chissà quante e quali schifezze. Il sospetto è sempre legittimo e ci corre l’obbligo di esternarlo in omaggio alla prudenza.


Ciò detto, fino a prova contraria dob­bi­amo credere alla buona fede di Napo­litano, ribadendo un concetto fonda­mentale: se il capo dello Stato è- come verificato- il Demiurgo, venga eletto di­rettamente dai cittadini. O chiediamo troppo a questa democrazia zoppa?

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