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Gli italiani sono meglio dei pm

Berlusconi si rassicuri: potranno emettere qualunque sentenza morbosa, fondata sul nulla probatorio, ma tutto questo agli occhi del Paese sapientemente immoralista non vale un fico secco

Gli italiani sono meglio dei pm

Avevo perso ogni speranza in me stesso, nel mio gene italiano e perfino arcitaliano, nella capacità del mio popolo di discernere il vero dal falso, non dico il bene dal male (attività ad alto rischio) quanto l'ipocrisia dalla sincerità, ed ecco che torno ottimista nonostante le piogge e il freddo di giugno. Ecco che mi ritrovo a pensare che Ennio Flaiano non è morto, che Federico Fellini vive e lotta insieme a noi, che Alberto Arbasino è più rilevante della Ilda Boccassini, per non dire di Machiavelli e Guicciardini, grandi moralisti del Cinquecento; in fondo possiamo celebrare in allegria la nostra sfacciata intelligenza, magari sulla colonna sonora della Quarta sinfonia di Beethoven o con l'accompagnamento di Valentino Liberace. Farà bene Berlusconi a infischiarsene dell'assalto guardonista del pm del Ruby bis, della puerile inquisitio generalis contro le cene «orgiastiche» e dello sputazzamento moralistico sul «corpo delle donne» e sulla libertà e socievolezza dell'amicizia, perché gli italiani sono superiori alla rappresentazione meschina, procuratizia e falsamente devota, che ne offrono i media asserviti alla menzogna.

La prima notizia consolatoria me la dà nientemeno che il Fatto quotidiano, il giornale che trasforma con losca abilità la merda inquisitoria in romanzaccio popolare. Luigi Bisignani, l'uomo che sussurra ai potenti, vende in libreria tre, quattro, cinque volte di più dei libri narcisisti e convenzionali di un Matteo Renzi e di un Walter Veltroni. I politici «de sinistra» che sussurrano all'opinione pubblica, che squadernano sempre nuove idee vecchie, sono giudicati meno interessanti di questo memorialista delle mille p2 p3 p4, un concentrato chimico di bonario cinismo, di genuini rancori, di chiacchiere e sfondi da set cinematografico anni Sessanta, di questo sublime sceneggiatore del potere scambiato regolarmente per uomo nero e dato in pasto alle patrie galere, ai processi e all'orgia (qui ci vuole) del perbenismo nazionale. Bisignani sarà smentito serialmente, e come ogni memorialista potrà incappare nella disavventura del ricordo impreciso, più qualche umanissima panzana, ma il suo spirito è quello illuministico del diradare le ombre, è quello machiavelliano di sfrondare l'alloro ai regnatori e metterli un po' in mutande, ma senza rabbia, senza indignazione, rivelandoli nelle loro metamorfosi mitiche per quello che sono.
Finalmente un botteghino vendicatore si eccita per la curiosità di un racconto non malsano, non prescrittivo, non censorio, non disperato e invidioso, e si diverte a sapere quel che si è sempre saputo. Che i Woodcock e i de Magistris e tutti gli altri arrestatori dello sviluppo intellettuale e morale della nazione non sanno nulla delle cose di cui si occupano, e si occupano solo delle cose che non sanno, sia come inquirenti sia come «intellettuali generali» di un'Italia pura e nobile che non esiste, come non esiste da alcuna parte un mondo terragno puro e nobile. Dopo tante ordinanze di cattura, dopo milioni di intercettazioni pruriginose, dopo lo sfrenato pettegolismo anticasta, uno della casta, e dei più riservati e segreti, dei più capaci e ricchi di talento, ce ne rivela tra Argentina, Vaticano e Italia tutti quei dettagli che fanno la piccola storia dei poteri civili o ecclesiastici, frammisti come sempre è stato all'intrigo e alla manovra d'influenza, senza odio, senza falsa coscienza, senza ideologia.

Ma non basta alla mia gioia una vittoria editoriale così sorprendente e avvincente, conseguita da un libro che si divora in tre ore, pagine di buona fattura morale nonostante le loro malizie e le loro pecche. C'è altro su cui non abbiamo riflettuto abbastanza. Grillo ha restituito 42 milioni di euro, lanciando dall'elicottero la grande elemosina demagogica all'opinione indignata e antipartito, e ha subito dimezzato i suoi voti. Gli elettori non si comprano così a buon prezzo. L'intelligenza del popolo costa cara, come ha potuto capire un Bersani lanciatissimo verso il vuoto della serietà al governo, e ivi spiaccicato. A Siena, dove il rais di Genova pensava di fare il pieno in ragione del dubbio o falso scandalo del Montepaschi, ha a stento superato l'8 per cento dei consensi. Alleluia per la grande sottigliezza degli italiani! Applaudono e ridono e confortano il tribuno del popolo quando vuole offrire loro la testa della partitocrazia, ma poi giustamente ci riflettono su e decidono che nell'urna la verità e l'interesse ti vedono, ti controllano, ti sorvegliano occhiuti, Grillo no.

Come se non bastasse, Bisignani rivela nel suo libro, con dettagli non smentiti, che il grillismo è la solita manovretta tragicomica innescata dai conversarii d'ambasciata e di Cia con l'amiko amerikano, la stessa puzzonata che fu alle origini delle celebri inchieste sulla corruzione di Milano, inizi anni Novanta, roba da consolato di Milano. I poteri veri, ma non sempre capaci di distinguere, scommettono sull'italiano di scorta, e l'italiano di scorta, ieri un Di Pietro che è finito come è finito, oggi un Grillo che sta finendo come sta finendo, rendono loro bassi e riservati servigi. E questo Paese non la beve.

Berlusconi si rassicuri, si riposi, si mobiliti e faccia il comodo suo di leader politico immarcescibile: potranno emettere qualunque sentenza morbosa, fondata sul nulla probatorio, sulla percezione laida di proiezioni guardone e origliatrici, ma tutto questo agli occhi del Paese sapientemente immoralista, mai sazio di vera intelligenza delle cose, preoccupato dell'essenziale che è la crisi della società e della capacità di governo, non vale un fico secco.

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