Italicum, arriva il primo sì Ma la Boldrini frena tutto

Respinte dalla Camera le pregiudiziali di costituzionalità sulla legge: solo venti i franchi tiratori. La presidente non ha fretta e rinvia la discussione all'11 febbraio

Italicum, arriva il primo sì Ma la Boldrini frena tutto

Roma - Il primo ostacolo viene superato di slancio: con 351 no e 154 sì l'aula di Montecitorio ha bocciato ieri, a scrutinio segreto, le pregiudiziali di costituzionalità delle minoranze (Sel, Cinque stelle, Fratelli d'Italia) che avrebbero affossato la nuova legge elettorale. Pienone delle grandi occasioni, banchi del governo al completo (mancava solo Enrico Letta), minoranze sul piede di guerra per reclamare il ritorno della legge in commissione. Richiesta respinta. La Lega e i grillini abbandonano l'aula «per protesta» (in realtà il Carroccio è stato messo a tacere dalla norma che lo salva dall'estinzione, e i 5 Stelle erano stati convocati da Grillo in un albergo).
Poi si riunisce la conferenza dei capigruppo che deve mettere in calendario l'Italicum e come denuncia il renziano Angelo Rughetti, «la palude prova a risucchiarci»: la presidente della camera Laura Boldrini, stressata dalle polemiche post-tagliola, decide di rinviare l'esame non alla settimana prossima, com'era nei piani di Matteo Renzi e nelle richieste di Pd e Fi, ma a quella successiva, con inizio delle votazioni l'11 febbraio. Un tentativo di captatio benevolentiae nei confronti dei partitini che la attaccano e che si oppongono all'Italicum, con annesso attacco al governo: troppi decreti da approvare che «rendono impossibile organizzare i lavori della Camera».
Un nuovo intoppo che si cercherà di superare già nel weekend, perché il leader del Pd non ha intenzione di far rallentare la corsa del treno che ha messo in moto, ben sapendo che una dilatazione dei tempi farebbe risorgere anche le resistenze interne. Anche se per ora fa buon viso a cattivo gioco: «Una settimana in più non cambia molto, l'importante è che non si perda quest'onda». Per la settimana prossima ha già convocato una nuova Direzione del Pd, che dovrà dare via libera alle prossime tappe: riforma del Senato e del regionalismo e Jobs Act. Intanto il sindaco - ieri a Firenze impegnato tra incontri internazionali e emergenza Arno - incassa il primo successo dell'Italicum: «Abbiamo tenuto bene, ora avanti: si fa». Alla prima conta, infatti, il gruppo del Pd regge meglio di quanto ci si aspettasse: i voti segreti che mancano al fronte pro-riforma sono infatti una ventina, di cui solo un pugno (sei o sette, calcolano gli addetti ai lavori) nelle file democrat. D'altronde lo si era capito fin dalla sera prima, nell'assemblea dei deputati Pd: «Sembrava una riunione di autocritica del partito comunista cinese», ironizza un renziano, parlamentare di lungo corso, «tutti a dire quanto è importante il processo messo in moto dal segretario e che bisogna fare in fretta». Tanto che ieri, a fare la dichiarazione di voto contro le pregiudiziali di costituzionalità (e quindi a difendere la piena costituzionalità dell'Italicum) è stato colui che fino al giorno prima era il pasdaran degli oppositori interni, il bersaniano D'Attorre: segno che lo choc della gazzarra scatenata dai grillini ha finito per ricompattare il Pd dietro al segretario. Il quale su Grillo (e sul suo elettorato) non molla la presa: bolla come «roba da squadristi, al limite del codice penale» le agitazioni dei 5 Stelle e spiega: «Dalla politica arrivano finalmente risposte, Grillo non sa come reagire e perde la testa: gli stiamo tagliando l'erba sotto i piedi».
L'obiettivo resta quello di portare a casa l'Italicum entro la metà di febbraio, evitando che resti impantanato tra i decreti in scadenza che la Camera deve varare (svuota-carceri e destinazione Italia).

E poi c'è Letta che preme per avere il sospirato via libera al rilancio (e rimpasto) di governo. Sul punto però Renzi non cambia idea: «Sulla squadra decida Enrico». Né presta ascolto, per ora, al crescente pressing che, nel Pd e fuori, lo invita a rilanciare il governo sì, ma da Palazzo Chigi. Come nuovo premier.

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