
In attesa dell'«autunno caldo», il segretario della Cgil Maurizio Landini si gode un'estate in seconda fila. Eppure, la bella stagione stava cominciando sotto tutti altri auspici, per il segretario della Cgil. L'overdose mediatica della campagna referendaria di giugno lo aveva portato a oscurare perfino il dualismo tra il leader grillino Giuseppe Conte e la segretaria del Pd Elly Schlein, lanciandolo verso la guida di un campo largo alla perenne ricerca di un leader.
Tra il presenzialismo e l'anonimato - aspettando nuove mobilitazioni contro la prossima legge di Bilancio - c'è stato, però, il risultato del referendum. Mancato il quorum, la partecipazione ai quesiti sul lavoro promossi dal sindacato di Corso d'Italia è stata addirittura sotto le aspettative, intorno al 30%. Insomma, nessun avviso di sfratto al governo.
Ma, mentre la leader del Partito democratico Elly Schlein rivendicava di aver preso più voti di quelli ottenuti dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni alle elezioni politiche, Landini si congedava dai riflettori ammettendo la sconfitta, seppure con toni sfumati
rispetto alle proporzioni del rovescio. In ogni caso una primizia, data la corsa di quei giorni a rivendicare comunque un risultato positivo. Landini si presenta in conferenza stampa, scuro in volto, ci mette la faccia e mette pure le mani avanti su un suo possibile abbandono dell'incarico al vertice della Cgil. «L'obiettivo non è stato raggiunto ma 14 milioni di voti sono punto di partenza. Se intendo lasciare? Non ci penso lontanamente», la frase. Poi il passo di lato. Quella che poteva diventare la nuova stella del campo si ritira dalla prima linea, senza però uscire di scena, nonostante i flop e la discesa del numero degli iscritti alla confederazione sindacale più di sinistra.
Mancato il bersaglio sui temi del lavoro, a partire dall'abolizione del Jobs Act che aveva lacerato la stessa coalizione di centrosinistra, la Cgil ha provato a cavalcare la guerra tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza. Banchetti sui territori, flash mob. E il 21 giugno le bandiere rosse del sindacato hanno fatto capolino anche alla manifestazione organizzata dai pacifisti a Roma contro il riarmo e per protestare contro quello che chi è andato in corteo definisce «il genocidio in Palestina». Ma la differenza, ça va
sans dire, Landini avrebbe dovuto farla sui temi del lavoro. E ora c'è una seconda possibilità, in vista dell'approvazione della manovra a fine anno.
Quel che è sicuro è che il tempo stringe per l'ex Fiom, che ostenta quasi come un vezzo di alterità rispetto alla grisaglia dei politici la sua t-shirt bianca sotto la camicia. Per una combinazione da predestinato al Palazzo, il suo mandato alla guida della Cgil scade nel 2027, in concomitanza con le prossime elezioni politiche. Da qui le indiscrezioni su un addio anticipato nel 2026, in modo da preparare la campagna elettorale con il Partito democratico o un'altra lista del campo largo. Il passaggio dalla Cgil alla politica non è certo una novità. Sergio Cofferati è stato europarlamentare dem e sindaco di Bologna.
Guglielmo Epifani ha fatto il deputato e il segretario al Nazareno. Nel Parlamento attuale, in Senato con il Pd, siede Susanna Camusso. Difficile pensare che l'anonimato del segretario Maurizio Landini durerà più a lungo di un'estate.