Roma - Ormai anche i partiti piangono, e la vicenda dell’Udeur di Clemente Mastella è esemplare, quasi simbolica.
L’ex Guardasigilli, secondo quanto racconta lo scoop della cronaca romana del Corriere della Sera, è stato costretto a chiudere la propria sede nella Capitale, causa povertà. I proprietari raccontano di essere in credito di varie mensilità di pigione. Mastella ammette la crisi: «L’affitto era troppo alto per noi. Abbiamo provato a pagarlo auto-tassandoci tra pochi amici, ma ci siamo dovuti arrendere».
Ecco: oggi capita a Mastella, ma tra un po’ - è il timore che aleggia nel Palazzo - potrebbe capitare anche ai leader di ben più poderose sigle politiche. Che comprensibilmente preferirebbero evitare di essere inseguiti dai creditori, e questo spiega perché ieri è tornata in alto mare la famosa riforma dei finanziamenti ai partiti, promessa ormai da settimane. Un esponente del Pdl (Peppino Calderisi) e uno del Pd (Gianclaudio Bressa) hanno avuto l’incarico di esaminare le varie proposte, sentire le diverse campane e stendere una bozza condivisa di legge, da proporre poi all’Aula della Camera. Ieri avrebbero dovuto sfornare l’atteso testo, ma hanno dovuto alzare bandiera bianca. Non per loro colpa, ma per l’impossibilità dei partiti di trovare un accordo su quanto e come e quando tagliare i denari pubblici che affluiscono nelle loro casse.
Toccherà ai segretari di maggioranza Alfano-Bersani-Casini dirimere la spinosa questione, ma non prima di lunedì. Il che ha dato stura alle ironie, con la Lega (che in effetti sull’argomento avrebbe poco da ridere) in testa ad accusare: «Fanno slittare la riforma a dopo le amministrative, per paura di dire agli elettori che non vogliono tagliare i finanziamenti». Cogliendo in parte nel segno: l’idea di mettere le carte in tavola a 72 ore dal voto, offrendo a giornali, opposizione e grillini vari il pretesto per fare gli ultimi giorni di campagna elettorale sui partiti che non si tagliano abbastanza i soldi è parsa suicida ad ABC, che hanno optato per un prudente rinvio. Oltretutto, si vuole essere certi che stavolta il testo sfornato sia inattaccabile dal punto di vista formale, e non venga bocciato clamorosamente dagli uffici della Camera, come è successo per la prima bozza Abc; anche perché così si offrirebbe il destro al «commissario» investito da Monti, Giuliano Amato, di prendere in mano la situazione per manifesta inettitudine dei partiti.
Ma nella maggioranza c’è anche un duro braccio di ferro sui tagli: il Pd (che 15 giorni fa, per bocca del tesoriere Misiani, affermava che il Pd «non sopravviverebbe» se si tagliasse l’ultima rata di finanziamenti) ora chiede a gran voce che i 180 milioni in arrivo a luglio vengano dimezzati.
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