Dall'Emilia a Torino, quanti ostacoli all'intesa Pd-M5S

Pd e M5S mai a braccetto. L'alleanza in Sicilia è un caso isolato: nel resto del Paese i grillini sono nemici dei democratici

Dall'Emilia a Torino, quanti ostacoli all'intesa Pd-M5S

Roma - Le prove di intesa tra Pd e M5S, coi pontieri di Bersani in campo (Laura Puppato e Vasco Errani), guardano al «modello Sicilia» dove il presidente Crocetta trova una maggioranza (anche) grazie ai 15 deputati regionali M5S. Quel modello ha però un rodaggio di pochi mesi (la giunta è stata nominata a novembre), e il test finora ha riguardato provvedimenti poco critici. Ci sono invece altri «modelli», con una sperimentazione più lunga, che però danno un responso negativo. Ovunque, a livello locale, governi il Pd, se si eccettua la Regione Sicilia, il movimento di Grillo, presente in centinaia di amministrazioni con oltre 400 consiglieri comunali e regionali, è sempre all'opposizione. E viceversa, dove governa il M5S, come a Parma, è il Pd a fare un'opposizione durissima. Nella prima categoria, molto più diffusa, c'è il «modello Torino», il «modello Emilia Romagna», il «modello Toscana», con il M5S che in tutti i comuni dov'è presente fa la guerra al sistema di potere (politica-banche-affari-coop) creato dal partito egemone in Toscana, il Pd.

Stessa cosa in Emilia Romagna, a iniziare dalla Regione, governata da Vasco Errani, uno dei pontieri Pd-M5S. Ebbene, le premesse non sono incoraggianti. Solo qualche giorno fa il consigliere regionale M5S, Andrea Defranceschi, ha attaccato frontalmente il presidente Pd «pontiere» col M5S: «Errani non ha più la maggioranza, i suoi alleati sono stati spazzati via dal voto. Se qualcuno ci chiede di votare una sfiducia noi ci siamo». Nel corso della legislatura regionale il M5S, che prima della rottura comprendeva anche il consigliere Giovanni Favia, si è scontrato col Pd sui costi della politica (il Pd ha detto no al taglio dei vitalizi in corso), sulle lottizzazioni delle società pubbliche, sul ciclo dei rifiuti. Fronte aperto anche in Toscana, in tutti i Comuni dove c'è il M5S. Lì le prove di accordo finiscono male, come ad Arezzo, dove il sindaco piddino Fanfani, a caccia di voti in consiglio, ha provato un'avance ma il capogruppo M5S Daniele Farsetti gli ha risposto picche. «Ora tutti ci tirano per la giacchetta - dice il consigliere aretino - Il sindaco ci corteggia, aprendo le porte ad un possibile assessore M5S. Grazie, non ci interessano poltrone».

Al Comune di Carrara, sempre Pd, i consiglieri M5S (prima forza di opposizione) contestano la gestione poco trasparente delle concessioni nelle cave di marmo, sempre agli stessi soggetti da decenni. A Empoli il M5S, guidato dal consigliere Gabriele Sani, ha fatto una battaglia sul conflitto di interessi dell'ex sindaco piddino Paolo Regini, nominato presidente della Banca di Credito Cooperativo di Cambiano (che fa da esattoria per molti comuni) e della società di gestione rifiuti Publiambiente, mentre la moglie, Laura Cantini, eletta sindaco dopo il marito, è stata vicepresidente della Provincia di Firenze e ora è neosenatrice Pd. Per non parlare dei Comuni più importanti, come la Torino dell'ex segretario dei Ds, Piero Fassino.

I due consiglieri M5S sono in guerra permanente col sindaco, che in una seduta del Consiglio ha perso le staffe e ha definito un «Giovanna D'Arco della pubblica moralità» la consigliera Cinque Stelle Chiara Appendino, che in aula e nelle piazze torinesi attacca «il sistema di potere» del Pd torinese e i costi della politica comunale (dal portavoce di Fassino assunto a 186mila euro, al direttore generale del Comune che «guadagna più di Barak Obama»). Un lavoro durissimo per i pontieri del Pd.

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