Non la prende per nulla bene Silvio Berlusconi. Non solo perché sperava in una diversa quantificazione dell'interdizione dai pubblici uffici decisa dalla Corte d'appello di Milano, ma pure per la celerità con cui la giustizia italiana si sta occupando delle sue vicende. Hanno così fretta di farmi fuori è il senso dei ragionamenti che il Cavaliere consegna ai suoi interlocutori che ormai gli basta un sabato mattina per emettere una sentenza. Insomma, «un copione già scritto».
Un Berlusconi amareggiato. Non solo per quella che definisce una «giustizia a due velocità» che «è lentissima per tutti» ma «velocissima solo per me» - la stessa che è riuscita a chiudere tre gradi di giudizio sui diritti tv Mediaset in poco più di un anno - ma pure per la sensazione che magistratura e giunta per le elezioni si muovano in sintonia. Entro un mese al massimo, infatti, i due anni d'interdizione dovrebbero ottenere il timbro della Cassazione e a quel punto il Cavaliere perderà l'elettorato attivo e quello passivo. Per farlo decadere da senatore servirà sempre un voto del Parlamento, ma è chiaro che davanti a una sentenza definitiva il voto del Senato verrebbe depotenziato della sua valenza politica e sarebbe di fatto una sorta di presa d'atto. Per Berlusconi, insomma, non sarebbe affatto facile chiedere al Parlamento di votare a suo favore, anche se il ministro centrista Mario Mauro continua a ripetere che il suo gruppo «deciderà il da farsi» solo prima del voto.
Con il passare dei giorni, insomma, l'ex premier ha sempre più la sensazione di essere stretto in un angolo. E a poco servono le dichiarazioni di solidarietà che arrivano da tutto il Pdl. In prima fila c'è Angelino Alfano, convinto che «una sentenza non priverà il popolo» del centrodestra «del suo leader». E con lui i ministri del Pdl che, primo Gaetano Quagliariello, chiedono di aprire una «riflessione» sulla legge Severino. Anche se, lascia intendere Beatrice Lorenzin, «chi vuole aiutare Berlusconi deve smetterla di paventare crisi di governo e voto a marzo» perché «serve stabilità». Seguono a pioggia le dichiarazioni di sostegno dei cosiddetti lealisti, primo fra tutti Raffaele Fitto che parla di «giorno cupo per la democrazia». Con lui Sandro Bondi, Renato Schifani, Renato Brunetta, Maurizio Gasparri, Daniele Capezzone, Daniela Santanché e il resto del Pdl che si stringono intorno a Berlusconi.
L'ex premier, però, non nasconde i suoi timori. Perché la sensazione è che il momento della verità si vada ormai avvicinando e che nel partito ci sia già chi si è riposizionato. Una delle ragioni per cui Berlusconi nelle sue conversazioni private non esita a dirsi «amareggiato». Di qui le perplessità sull'operazione centrista che sta portando avanti il ministro Mauro con la spaccatura di Scelta Civica e l'ormai imminente creazione di gruppi parlamentari autonomi. Il primo passo verso un contenitore di centrodestra che sostenga il governo senza se e senza ma qualunque cosa accada nel Pdl. Un'iniziativa che Mario Monti pare non aver affatto digerito se il Professore dice di essere pronto a chiedere un rimpasto con l'obiettivo di portare a casa proprio la testa di Mauro. Di certo, assicura Fedele Confalonieri, non sarà la figlia Marina a raccogliere l'eventuale testimone di Berlusconi perché, spiega, «non ci pensa assolutamente a passare lo stesso calvario del padre», che in politica «avrebbe potuto essere più cattivo, di una cattiveria sportiva, più deciso, più cinico».
Sullo sfondo resta il braccio di ferro interno al Pdl, con colombe e lealisti su posizioni ancora lontanissime. E tra questi ultimi sono in molti a essere convinti che la prossima settimana il Cavaliere convocherà un ufficio di presidenza Pdl per sancire la confluenza in Forza Italia con conseguente azzeramento delle cariche.
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