L'annuncio di Maroni: Lega via dal Parlamento Patto su Zaia presidente

Bobo annuncia che il partito non si ricandiderà a Roma. E oggi in via Bellerio lancia la corsa a segretario. Umberto padre nobile, ruolo di garanzia al governatore veneto

L'annuncio di Maroni: Lega via dal Parlamento Patto su Zaia presidente

Dicono che oggi finisce una storia e ne ricomincia un’altra. Il consiglio federale della svolta è fissato alle 11 in via Bellerio. Per dirla con un deputato maroniano nemmeno dei più sanguigni: «Cosa succede oggi? Oggi succede che Bossi si toglie dai cogl... e si riparte con Maroni». Lui, Bobo, è sereno. Da Cesena, dove ha (re)incoronato Gianluca Pini alla guida dell’Emilia-Romagna, parla da leader. Liquida i guai giudiziari del suo alfiere emiliano come «aria fritta», gelando chi lo accusa di usare due pesi e due misure nelle pulizie interne. Del resto, spiega di aver fatto denuncia per violazione del segreto istruttorio sul fronte che riguarda la famiglia Bossi, chiedendo lealtà ai pm dopo nuove indiscrezioni, ieri, su Renzo. Poi, Bobo ribadisce che per ora la Lega non si allea con nessuno dei partiti che sostengono Monti: ai ballottaggi, ognuno per sé. Alle Politiche si vedrà: le alleanze sono «possibili ma non obbligatorie». Soprattutto, ufficializza il disegno di un Carroccio modello Catalogna: «Potremmo non andare più in Parlamento», restando «forza territoriale». Sarà il congresso federale a decidere. Ma vista da qui, dal terzo congresso che, dopo Liguria e Piemonte, ha decretato la vittoria dell’ala maroniana, è chiaro che l’assise di luglio sarà solo una formalità.
Quel che resta dei cerchisti spera ancora che Bossi scappi col simbolo. Che oggi si presenti in via Bellerio e dica: vuoi fare il segretario? Accomodati, ma il marchio del partito resta mio, dando il via alla scissione. «Non è un caso - annotano - che Giuseppe Leoni, che tace da vent’anni, sia tornato a parlare proprio in questi giorni, e proprio per dire che il simbolo appartiene a lui e ai coniugi Bossi».
Ma non andrà così. Le parole di Leoni più che una minaccia vera sembrano un modo per alzare la posta, o per rassicurare l’ala bossiana. E infatti ieri Maroni ha detto serafico che «i simboli appartengono al movimento, e vengono amministrati dal consiglio federale». Di più: nulla vieta di togliere il nome di Bossi: «Il simbolo evolve, ne abbiamo cambiati tanti».
Certo, «i colpi di scena non sono esclusi con l’Umberto». Ma, salvo ripensamenti, l’accordo con Maroni è siglato. Bossi si è convinto che ricandidandosi a tutti i costi spaccherebbe il movimento. È vero, gli amici storici la mettono giù pesante: «Umberto è il cuore della Lega: senza di lui il simbolo è vuoto. Se finisce la sua storia finirà anche la mia» dice amaro Giacomo Chiappori. «Qui tutti dovrebbero darsi una calmata, e invece rispetto a certi personaggi con la ramazza Caino sembra una brava persona» lamenta Giovanni Torri. Ma tutti dicono di sperare che «fra i due litiganti spunti il terzo». E allora ecco la soluzione. Il terzo uomo si chiama Luca Zaia. Non alla segreteria, ma alla presidenza. E cioè sulla poltrona di chi, alla fine, gestisce il simbolo e le liste elettorali. Un garante, il governatore veneto, che si è sempre tenuto fuori dalla guerra fratricida che ha dilaniato il partito. Tutti pensavano che Bossi volesse la presidenza per sé. Una scelta che preoccupa i maroniani: «Da lì vorrà continuare a comandare». E che imporrebbe di cambiare lo Statuto, che vieta che segretario e presidente siano della stessa regione. Senza contare che i veneti, che da sempre reclamano più potere, scenderebbero sul piede di guerra. Con Maroni segretario e Zaia presidente, per Bossi verrebbe ritagliato un ruolo di padre nobile.
Lo stesso schema di compensazioni dovrebbe ripetersi al congresso lombardo. Lì, per la segreteria ci sono i nomi di Matteo Salvini e Giacomo Stucchi. I più moderati preferiscono il secondo, meno bellicoso, e fanno notare che Stucchi, bergamasco, darebbe rappresentanza a una delle aree più forti della Lombardia. Ma un punto è fermo, e cioè la presidenza a Giancarlo Giorgetti: «È un numero uno, certo non finirà in bacheca» dice un dirigente. Oggi il presidente lumbard è Roberto Castelli, ma il senatore dovrà stare «fermo un giro»: «È uscito vincente dalla vicenda Belsito, ma poi ha commesso un grande errore, consigliando a Bossi di ricandidarsi».
E poi c’è la Liga veneta. Il segretario sarà Flavio Tosi. Ieri il bossiano Toni Da Re, storico segretario a Treviso, ha avuto il via libera dall’uscente Gianpaolo Gobbo a sfidare il potente sindaco di Verona.

Facendo tramontare la candidatura di Massimo Bitonci, il sindaco-sceriffo di Cittadella, che però non si lamenta: «Mi rimetto alla maggioranza, se poi qualcosa dovesse maturare vedremo...». Chissà che non faccia il presidente.

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