Se la cantano e se la suonano. Dopo aver combinato il pasticciaccio con le intercettazioni di Napolitano, i magistrati cercano in ogni modo di recuperare la faccia. Di rifarsi una verginità. E con loro quei giornali (vedi il Fatto, che dopo aver bombardato sul Colle per settimane ieri alla «trattativa» riservava poche righe sulle frasi di Mancino, oppure Repubblica che ha dato fuoco alle polveri contro il capo dello Stato pubblicando intercettazioni a valanga per poi litigare al suo interno) che con le toghe palermitane sono in strettissimi rapporti. Talmente stretti da godere del monopolio dell'informazione giudiziaria se si dà retta a quanto affermato dal procuratore capo Messineo sulla fuga di notizie del settimanale Panorama («Mai avremmo usato quel settimanale, mai molto tenero con noi») a conferma che le notizie, e le contestuali fughe, a Palermo sono eterodirette da un ufficio giudiziario non a caso definito un «colabrodo» e che, sulle inchieste di mafia, predilige smaccatamente la stampa di centrosinistra (vedi interrogazione del senatore Pdl Augello sulle parole del superiore del pm Ingroia).
Il paradosso è tutto qui: i magistrati (e i giornali di riferimento) che hanno lanciato la bomba adesso fanno a gara a dar la «colpa» ad «altri». Al settimanale «berlusconiano» che ha messo insieme una serie di indiscrezioni smentite malamente dal solito procuratore Messineo. Ad imprecisate «menti raffinatissime», che il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha buttato lì senza poi fare i nomi e i cognomi. A imprecisati «politici con nomi noti», per dirla come l'ha detta ieri il solitamente pacato procuratore di Caltanissetta Lari che nell'escludere le «menti raffinatissime» di Grasso ha invece ipotizzato una regia «politica», anche qui senza specificare quale politico abbia orchestrato l'attacco al Colle. «Di menti raffinatissime parlò Falcone per il fallito attentato all'Addaura, nel 1989 - dice - ma poi su questo tema noi magistrati non siamo mai riusciti a superare il piano degli indizi, nessuna prova, né nel mio né in altri uffici giudiziari». Lari, però, concorda sul fatto che sia in corso «una ignobile campagna di denigrazione e di attacco al Capo dello Stato. Una violenta campagna che deve essere respinta al mittente (...) L'opera di attacco al presidente Napolitano è collegata non a menti raffinatissime, ma a personaggi politici in attività con nomi e cognomi ben noti. Nomi e cognomi che certamente non farò io - precisa - perché non mi compete la polemica politica».
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