Roma - Il caso Cancellieri è chiuso, ma solo «provvisoriamente» come ammettono anche nel governo. I grillini vogliono un voto anche al Senato, ben sapendo che il Pd vacillerebbe vistosamente se messo davanti a una seconda via crucis, dopo quella appena compiuta. La base ribolle, come ha constatato Pippo Civati, candidato alla segreteria, che ieri si è sottoposto a due ore di diretta Twitter raccogliendo le proteste per il voto di fiducia. Il clima è pessimo, la lotta in vista delle primarie è all'ultimo sangue, un'intera classe dirigente vede avvicinarsi l'elezione di Matteo Renzi come la nemesi e per fermarlo tenta ogni strada. Massimo D'Alema è pronto a combattere fino all'ultimo, e lancia la sfida da Bari: sarà candidato della lista pro-Cuperlo, contro il sindaco Michele Emiliano che si schiera col collega fiorentino. Il quale fa capire che non intende fare prigionieri e avverte: «Dopo le primarie ci sarà una svolta nel partito, nel governo e nel Paese». E punta le prime teste: «Colaninno? Lo cambiamo, non sarà più il responsabile economico del Pd».
Ma le maggiori preoccupazioni sono nel governo. I lettiani hanno celebrato il voto di fiducia alla Cancellieri come una vittoria contro Renzi: «Gli abbiamo fatto vedere che non ha il controllo dei gruppi», dicevano. «Il governo di Letta è come quei grattacieli giapponesi, elastici ma saldi: resiste ad ogni scossa di terremoto», assicura Guglielmo Vaccaro. E Marco Meloni avverte: «Renzi deve capire che la composizione di gruppi Pd rimarrà la stessa anche se lui diventerà segretario». Come dire: in Parlamento non potrà muovere foglia. Ma Enrico Letta è ugualmente preoccupato, e teme - come dice un esponente a lui vicino - «un Vietnam permanente». Il ministro Mario Mauro dà voce alla paura che serpeggia: «Renzi sta scavando una voragine sotto il governo, che il 9 dicembre sarà pronta», ammette a Omnibus su La7. Per Mauro e i centristi, il principale timore riguarda la legge elettorale, e la possibilità che i piani del governo falliscano. Già, perché la riforma del Porcellum è tuttora arenata a Palazzo Madama, dove - con l'avallo dell'esecutivo e il silenzio del Colle - la si vorrebbe tenere ferma fino al pronunciamento della Consulta, in dicembre. Che a sua volta, è il sospetto che circola, potrebbe accogliere il ricorso contro il Porcellum, ma rinviare la propria pronuncia. A quel punto, il governo potrebbe infilare una «sua» legge elettorale nel pacchetto di riforme che sta preparando il ministro Quagliariello, abbinandola alla riduzione dei parlamentari e l'abolizione del Senato. E mettendola ovviamente in coda alle revisioni costituzionali: un'assicurazione sulla vita per il governo, visto che - in assenza di nuova legge - difficilmente si può andare al voto.
I renziani però sono pronti alla controffensiva. Il pressing sullo sciopero della fame anti-Porcellum di Roberto Giachetti, giunto al 47esimo giorno, ha spinto la presidente della Camera Boldrini a una prima sfida contro quello del Senato Grasso: «Se la discussione è al Senato non può occuparsene la Camera, ma auspico uno sblocco». Giachetti ringrazia e rilancia: «È chiaro a tutti che la legge è stata assegnata al Senato per non farla, e l'unico che tace è Grasso. Spero che non si assuma la responsabilità di umiliare il Parlamento».
Grasso resiste («per conto di Letta e Napolitano», dicono nel Pd), ma Renzi ha garantito che da segretario reclamerà che la legge elettorale torni a Montecitorio, dove ha i numeri per votare un saldo impianto maggioritario. Col rischio di un cortocircuito nella maggioranza di Letta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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