L'asse Renzi-Quirinale s'incrina su Letta

Napolitano lo voleva alla Ue ma il premier non l'ha neppure proposto

L'asse Renzi-Quirinale s'incrina su Letta

Roma - Tosta e complicata la partita dell'Europa, dice Matteo Renzi. Ma altrettanto è quella italiana. Partita di sopravvivenza, anzi: il primum vivere di craxiana memoria. Sarebbe perciò sbagliato sottovalutarla, immaginando un Renzi pago della facile popolarità continentale dopo la vittoria alle Europee.
Il presidente del Consiglio italiano è alla vigilia di un Semestre dal quale dipenderà molto del proprio futuro. E la pre-condizione renziana è sempre quella di non avere sulla propria strada intralci, intoppi, imprevisti, guastafeste. Così, in conferenza stampa, non sfugga il tono ultimativo del suo: «Mai fatto il nome di Letta». Di più: «Questa ipotesi di Letta l'ho letta sui giornali italiani e avanzata da politici italiani, fonti qualificate, ma non dalle cancellerie europee», ha insistito, tanto per smentire le voci che davano il nome dell'ex premier avanzato da britannici e francesi in chiave anti-tedesca. Il giornale a tirare per primo in ballo Letta è stato il Messaggero, da sempre ossequioso con il prestigioso «dirimpettaio», l'inquilino del Colle, ma tutt'altro che intenzionato a inimicarsi quello di Palazzo Chigi. E nel pranzo di mercoledì scorso al Quirinale quel nome sarebbe stato effettivamente avanzato da Giorgio Napolitano senza, peraltro, che Renzi lo tenesse nel minimo conto. Anzi, presentato sui giornali come candidato alla «commissione Ue», la conseguenza non poteva che essere una solenne sgrammaticatura, «perché abbiamo già Draghi alla Bce e non è possibile che agli italiani siano concesse due presidenze europee su tre», ha tenuto a chiarire il premier.
Facile intuire perché Napolitano tenesse a Letta: un risarcimento, ma non solo. L'idea era quella di tener viva una politica più «articolata» rispetto a quella che Renzi propone. Ad essere in crisi è difatti il rapporto di «tutela» nel quale finora il Quirinale pensava di poter mantenere il giovane leader del Pd. Che invece, come precisa e fa precisare a ogni angolo di strada, «non si fa dettare l'agenda né da Merkel né da nessuno».
Ne consegue un risiko governativo in versione accelerata, come piace a Speedy-Matteo. Lunedì il Cdm parlerà del rappresentante Ue, ha annunciato il premier, dando per ufficiale il benservito ad Antonio Tajani. La candidata unica è Federica Mogherini, attuale ministro degli Esteri: «L'ipotesi che possa essere un italiano a guidare la Pesc, la politica estera europea, dipenderà da molti fattori: se toccherà a un socialista e se il Pse desidererà che sia l'Italia a proporlo. Se si verificasse, ci troverebbe pronti in un modo molto concreto». Guarda caso, è la stessa Mogherini il nome sul quale si scontrarono Renzi e Napolitano alla nascita del governo. Ma oggi come oggi al premier serve una persona di totale fiducia in un ruolo chiave del Semestre, che libererebbe per di più la casella della Farnesina (pronta per Alfano). Al fidato ed esperto Marco Minniti toccherebbe il Viminale, a uomini di sua strettissima cerchia (Luca Lotti e Roberto Reggi) le caselle di Infrastrutture e Pubblica Istruzione. Rimpasto giustificato da fattori europei del quale farebbero le spese i post-montiani.

E che lascerebbe a Renzi mano ancora più libera nella gestione delle maggioranze sulle riforme.
Un triplice forno per arrivare indenne al 2018: Forza Italia, il gruppo ex-Sel, i grillini sulla legge elettorale. Muta, divide et impera, così Matteo si fa sempre più grande.

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