RomaPer una volta, sulla riforma del lavoro, Pd e Pdl - ma anche maggioranza e opposizione, Lega e Idv inclusi - sono stati tutti d’accordo. Probabilmente anche la Cgil ha dato la sua silenziosa benedizione. L’intesa bipartisan raggiunta ieri riguarda il ponte del Primo maggio: ieri tutti a casa, e si ricomincia a lavorare mercoledì 2.
Si inizierà quindi a votare la settimana prossima, nella Commissione lavoro del Senato, per poi mandare un testo presumibilmente modificato in qualche punto rispetto al ddl originario del governo. Gli emendamenti presentati sono tanti, una valanga di mille proposte di modifica. E il Pdl nei giorni scorsi, per bocca del capogruppo in Senato Maurizio Gasparri, ha puntato i piedi e lanciato ultimatum: o l’esecutivo accetta «cambiamenti sostanziali» oppure il centrodestra non voterà, perché «troppe rigidità e ideologismi possono creare disastri sociali», e le norme, se venissero approvate nella formulazione del governo, porterebbero «conseguenze nefaste per i lavoratori», e causerebbero «un aumento della disoccupazione».
Ieri l’ala «dura» e meno filo-Monti è tornata a farsi sentire, con l’ex ministro Matteoli. «Servono correzioni - ha detto - per favorire le assunzioni da parte delle imprese mentre il testo uscito dal Consiglio dei ministri determina forti rigidità. Se non ci saranno, il Pdl non potrà votare la riforma». Da sinistra insorge un altro ex ministro, il Pd Cesare Damiano, per il quale il Pdl deve smetterla di «pretendere di stravolgere a proprio vantaggio la riforma». Qualche «correzione», concede, può essere introdotta, ma «l’equilibrio raggiunto va mantenuto».
Chi però sta seguendo l’iter del provvedimento racconta che, tra le quattro mura della Commissione, gli atteggiamenti sono assai più collaborativi e realisti. E anche i toni del segretario Pdl Angelino Alfano suonano meno bellicosi: «Chiediamo al governo di aprire gli occhi e stare attento e non sordo alle istanze degli imprenditori, dei commercianti e degli artigiani che fanno assunzioni: ci sembra una richiesta di buon senso». Il governo stesso, attraverso il vice di Elsa Fornero al Lavoro, Michel Martone, ieri ha ribadito l’apertura a modifiche di merito: «Il ministro Fornero ha detto che c’è la disponibilità a migliorare la riforma. Siamo qui per fare la migliore riforma possibile e valuteremo gli emendamenti». Martone ha anche lasciato intendere che lo stesso esecutivo potrebbe presentare un emendamento per limitare la discrezionalità del giudice sui licenziamenti disciplinari.
Insomma, si lavora ad un compromesso che argini le critiche di Confindustria e del Pdl, in particolare sul tema della flessibilità in entrata. Se il Pd (e la Camusso) la hanno avuta vinta a proposito delle regole di uscita dal lavoro, con i ritocchi all’articolo 18 e la reintroduzione della possibilità di reintegro, ora anche il Pdl vuole incassare qualche risultato da poter esibire al proprio elettorato. E il punto su cui si concentrano i suoi emendamenti è la cosiddetta «flessibilità in entrata», ossia la regolamentazione delle assunzioni. Gli emendamenti firmati dall’ex ministro Sacconi puntano a scardinare l’articolo 3 della riforma, che ora prevede forti disincentivi all’utilizzo reiterato dei contratti a termine, con l’obiettivo di favorire quelli a tempo indeterminato, l’articolo 9 che limita l’utilizzo delle collaborazioni di partite Iva.
Il Pd, dal canto suo, non si oppone ad eventuali correzioni, anzi apre la porta: la capogruppo a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, respinge «minacce e ultimatum», chiedendo agli alleati di maggioranza del centrodestra più «responsabilità» e meno «battaglie tattiche».
Lavoro, i partiti si fermano: è il ponte del primo maggio
Accordo tra gli onorevoli: la discussione slitta a mercoledì perché vanno in vacanza. Si cerca un compromesso per accogliere le critiche avanzate da Pdl e Confindustria
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.