RomaNello sciame sismico innescato dalla sentenza della Cassazione di giovedì scorso, si vive con l'ansia che la scossa più violenta possa essere quella che deve ancora arrivare. E l'epicentro del terremoto - ormai è chiaro - non è il Pdl compatto attorno al suo leader condannato, ma quel Pd sempre più sull'orlo di una crisi di nervi. Al Nazareno si attendono con il fiato sospeso le parole di Matteo Renzi, sempre di più la madonna pellegrina dei democratici, che domani parteciperà a due feste dell'Unità in Emilia rompendo un silenzio stampa piuttosto assordante. Che dirà? Lancerà l'Opa sul partito? Darà l'ultimo soffio, quello decisivo a far cadere il castello di carta democratico? Oppure prenderà ancora tempo, sapendo che il calendario almeno per ora è dalla sua parte?
Il simbolo inevitabile del partito è il segretario per caso Guglielmo Epifani, che ieri ha incontrato in un vertice postprandiale il premier Enrico Letta. Ufficialmente per rassicurarlo («il governo non può né deve farsi logorare dalle polemiche che abbiamo visto in questi giorni», le parole di Epifani), ma più realisticamente per esserne rassicurato. «Ho fatto presente a Letta la nostra preoccupazione per queste polemiche che sono seguite alla sentenza della Cassazione, molte delle quali sono andate oltre il segno e oltre il dovuto», ha detto Epifani uscendo da Palazzo Chigi. Il segretario ha perso da tempo il controllo della situazione. Sa che nel partito cresce la fronda contro le larghe intese e che non può rimandare ancora la convocazione del congresso, per quanto devastante possa essere per l'attuale oligarchia piddina. Per questo ha convocato per giovedì prossimo la direzione nazionale del partito (ci sarà anche Letta) nel quale si parlerà delle regole del congresso. Anche e soprattutto alla luce di quanto avrà detto il giorno prima a Bosco Albergati nel Modenese e a Villalunga nel Reggiano Matteo Renzi. Che con la convocazione di giovedì sembra aver fatto segnare un altro punto sul suo tabellino personale.
Il fatto è che al Pd senza bussola, con un leader facente funzioni, spaccato tra chi vorrebbe mollare il governo e chi vorrebbe andare avanti per senso di responsabilità e per non sapere che altro fare, nessuno fa sconti. Nessuno facilita il compito nemmeno per incidente. Non il Pdl, che dopo la sentenza Mediaset non è caduto nella facile trappola del muoia Sansone (pardon, Letta) e tutti i filistei. Né il M5S. Ecco: da giorni al Nazareno si elucubrava su un possibile governo alternativo con Sel e i grillini. All'uopo il giornale-partito Repubblica aveva anche confezionato un articolo uscito ieri in cui si raccontava di un Beppe Grillo che, in visita a una cantina di Arzachena, davanti a un bicchiere di Cannonau raccontava all'amico ed ex sindaco Pd della località sarda Tino Demuro dei suoi timori per un'eventuale caduta del governo Letta («resterei con il cerino in mano») e apriva timidamente a un Pd senza Enrico Letta («di lui non mi fido»). Tutto evaporato ieri mattina leggendo il blog del comico genovese. «Pdl e pdmenoelle pari sono. Non c'è alcuna possibilità per me di allearmi né con uno né con l'altro, né di votargli la fiducia. Hanno la stessa identica responsabilità verso lo sfascio economico, sociale e morale del nostro Paese».
Insomma, solo fantasie giornalistiche. «Qualche pennivendolo - scrive Grillo - si aggira nei bar della Sardegna, in alcuni dove non sono neppure mai stato, per attribuirmi aperture al pdmenoelle. Siamo arrivati al giornalismo da bar. Le pressioni per un'alleanza del M5S con il pdmenoelle con articoli inventati di sana pianta durano dal giorno dopo le elezioni politiche.
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